“La motivazione dei Paesi membri nel consolidare i bilanci e fare le riforme potrebbe diminuire, se i Paesi si abituassero a condizioni di finanziamento troppo convenienti”. È la preoccupazione espressa dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, a proposito dell’operazione di Quantitative easing di Mario Draghi. Nei primi tre giorni dell’operazione la Bce ha comprato 9,8 miliardi di euro di titoli di Stato. Il piano prevede acquisti complessivi per 60 miliardi di euro di debito pubblico e privato, per una durata iniziale di 15 mesi che in seguito potrebbe essere procrastinata. Abbiamo chiesto un commento ad Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara.
Che cosa ne pensa delle parole di Weidmann?
Il presidente della Bundesbank riflette in modo molto puntuale le acquisizioni più recenti della teoria economica. Studi recenti hanno chiarito che anche del denaro, come di qualsiasi altro bene, si tende a fare un cattivo uso se lo si trova troppo a buon mercato. Ognuno di noi cerca di sprecare di meno le cose che costano di più. Le parole di Weidmann sono giuste, ma da esse emerge il principale paradosso della costruzione europea.
In che cosa consiste questo paradosso?
I Paesi del Sud si sono agganciati a quelli del Nord per importare la loro disciplina. Purtroppo entrando in Europa i Paesi del Sud hanno anche beneficiato dell’opportunità di godere di tassi eccessivamente bassi rispetto alle proprie condizioni economiche e al proprio merito di credito. È esattamente questo che li ha resi particolarmente indisciplinati. Quindi il paradosso è che ciò che il Sud ha fatto per diventare più disciplinato lo ha reso più indisciplinato. Nel fare la parte del falco, Weidmann ha messo in evidenza il motivo principale per cui il progetto europeo fallirà in quanto intrinsecamente contraddittorio.
La Germania sta beneficiando di tassi negativi sui Bund. Ha davvero motivo per lamentarsi?
Il problema della Germania è che ha un sistema previdenziale sostanzialmente basato sul principio della capitalizzazione, e sono più diffuse che da noi forme previdenziali a capitalizzazione. Giovedì il Btp a 30 anni è sceso a un tasso d’interesse dell’1,8%. In Europa a tassi d’interesse negativi o estremamente vicini a zero, un sistema finanziario a capitalizzazione crolla.
Per quale motivo?
Perché i risparmi accumulati non fruttano più a sufficienza per garantire le prestazioni inizialmente promesse ai futuri pensionati. In un Paese la cui popolazione sta rapidamente invecchiando ciò è devastante. A preoccupare la Germania per quanto riguarda i nostri tassi bassi è che non riesce più a fare investimenti finanziari relativamente sicuri e a tassi d’interesse convenienti, come potevano essere quelli in un titolo di Stato del Sud Europa prima che entrassimo nell’euro.
Secondo Prometeia, per l’Italia il quantitative easing vale lo 0,6% del Pil. È un dato positivo?
I possibili canali di trasmissione del Quantitative easing sono l’abbassamento dei tassi d’interesse e la flessione del tasso di cambio. Quanto al tasso d’interesse, sarebbe illusorio aspettarsi che determini un grande aumento degli investimenti. In questo momento le banche hanno liquidità, ma non la prestano perché hanno paura. Non hanno tutti i torti perché la situazione del tessuto economico italiano è compromessa. È ragionevole che ci siano delle riserve a prestare a un cliente che in qualsiasi momento potrebbe essere messo a sua volta in difficoltà dal fallimento di un suo stesso cliente.
Come valuta invece l’attuale euro debole?
Il tasso di cambio rispetto al dollaro si è svalutato del 40%. Non abbiamo visto nessuna particolare fiammata inflazionistica, anzi siamo in deflazione. Il petrolio si compra in dollari, sia che si svaluti l’euro sia che si svaluti la nuova lira. Quanto al commercio, la svalutazione dell’euro sul dollaro ci avvantaggia rispetto a Paesi terzi quali Cina e Usa. Lasciando però inalterati i nostri rapporti di prezzo con il nucleo dell’Eurozona, di fatto per noi è un gioco a somma zero, perché tutti i soldi che noi guadagniamo esportando in Cina e Stati Uniti, li spendiamo per comprare auto tedesche, latte francese e birra belga.
(Pietro Vernizzi)