Da un lato il commercio estero dell’Italia che, secondo l’Istat, a gennaio è calato del 2,5% rispetto a dicembre. Dall’altra le previsioni sul Pil del nostro Paese che sono state riviste al rialzo dall’Ocse rispetto a novembre, portandole rispettivamente dal +0,4% al +0,6% per il 2015 e dal +0,3% al +1,3% per il 2016. Tanto che per Matteo Renzi, “esistono segnali univoci che siamo fuori dalla fase emergenziale della crisi economica”. Mentre per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, “anche il Centro studi di Confindustria rileva qua e là segnali positivi. Ma tra questo e dire che c’è la ripresa ce ne corre. Stiamo strisciando sul fondo. È fondamentale fare le riforme”. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Di quali riforme ha più bisogno l’Italia?
Le riforme proposte regolarmente dai tecnici di Bruxelles sono ancora quella del mercato del lavoro e delle pensioni. Ne sono state fatte un certo numero, ma non hanno dato i risultati sperati. La vera riforma che ci occorre è di tipo fiscale. Va ridotta la pressione fiscale sui redditi delle famiglie, che è aumentata del 2% per un totale di 36 miliardi. A questo si aggiunge la riduzione di spesa pubblica in termini reali, e in particolare di consumi collettivi.
Con quali conseguenze?
Ci stiamo muovendo su ordini di grandezza molto elevati che si sono scaricati simultaneamente sulla capacità di spesa delle famiglie, mettendo in ginocchio l’economia italiana.
Quanto ci deve preoccupare il dato Istat sul calo delle esportazioni?
È un segnale non positivo da prendere con grande cautela perché tutte le speranze formulate finora in una ripresa timida ma positiva dell’economia italiana fondamentalmente si fondano sul traino del commercio estero. Se venisse a mancare, le prospettive sarebbero veramente grigie. Gennaio è andata così, episodi occasionali di dinamiche negative si verificano in tutte le economie. Se anche questo dato è occasionale lo prendiamo come tale.
In che modo è possibile scongiurare un calo delle esportazioni?
Se il dato di febbraio dovesse confermare quello di gennaio, molte delle previsioni positive rischiano di ritornare nel cassetto per l’ennesima volta, e credo che nessuno voglia questo. La crescita della domanda mondiale e delle esportazioni non è una variabile sotto controllo della politica economica del governo, mentre il nostro esecutivo, in coordinamento con la Commissione Europea, può intervenire sulla pressione fiscale.
Come va finanziato il taglio delle tasse?
Il taglio delle tasse può essere reso possibile da investimenti pubblici che si autofinanziano. Un programma vasto e qualificato di investimenti pubblici si tradurrebbe immediatamente in più posti di lavoro, più reddito e un aumento del prodotto interno lordo. Di conseguenza lo Stato ha più gettito fiscale e la stessa riduzione della spesa diventa più gestibile. Ciò che occorre è un grande programma d’investimento da finanziare subito, ottenendo il via libera di Bruxelles. In questo modo il taglio della pressione fiscale si autofinanzia. Se lo Stato compie investimenti che consentono la crescita del prodotto interno lordo, aumenta il gettito e nell’arco di uno o due anni quella riduzione si può autofinanziare.
Perché secondo lei il Jobs Act non è sufficiente?
Qualunque impresa fa investimenti e quindi assume se le prospettive del suo mercato sono positive. Il costo del lavoro non è un elemento così decisivo. Una sua riduzione è una tentazione cui difficilmente le imprese potranno resistere, tenuto conto della loro situazione economica. Se non c’è domanda le imprese si troveranno comunque a fare i conti con una realtà difficile.
Quali effetti produrrà il bonus per le assunzioni?
Il rischio è che molte imprese, dopo avere incassato il bonus del governo, lascino a casa le persone che avevano assunto con un beneficio economico consistente. Se ciò avvenisse sarebbe molto negativo. Il Jobs Act non produce automaticamente effetti positivi, o meglio è utile per consentire il mismatching del mercato del lavoro, cioè una maggiore fluidità con un incrocio tra domanda e offerta più rapido ed efficiente. Ma se non c’è la domanda il potenziale di crescita della riforma del mercato del lavoro comunque non basta.
(Pietro Vernizzi)