“L’Italia necessita di ulteriori riforme per accrescere il prodotto potenziale”, soprattutto nel campo del lavoro e delle liberalizzazioni, in quanto in questo modo potrebbe ottenere una crescita del Pil che nel lungo periodo sarebbe superiore al 10%. Lo afferma il Bollettino economico della Banca centrale europea, secondo cui per Italia e Belgio “continua a esservi un notevole scostamento dallo sforzo strutturale richiesto nell’ambito della regola del debito”. Una presa di posizione cui ha risposto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, secondo cui “l’applicazione meccanica delle regole del debito sarebbe controproducente”. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.



L’Italia ha approvato il Jobs Act. L’invito della Bce a fare la riforma del lavoro significa che non è sufficiente?

Non credo che questo passaggio sia una critica al Jobs Act. Si dice solo che se la riforma del mercato del lavoro fosse coniugata a un intervento nel mercato dei servizi, il Pil potenziale potrebbe crescere.



In che modo andrebbe attuata una riforma dei servizi?

Basterebbe liberalizzare i servizi pubblici locali e permettere aggregazioni tra le municipalizzate. Se in Italia avessimo un massimo di cinque società che si occupano rispettivamente dei rifiuti e dei trasporti pubblici locali, otterremmo un guadagno di efficienza e potremmo inoltre dare spazio all’iniziativa privata. Si creerebbero così una maggiore concorrenza e più possibilità di occupazione. Le stesse nuove tecnologie potrebbero essere utilizzate in modo più efficace.

Perché ritiene che un ammodernamento dei servizi locali sia cruciale?



Nella stessa spending review uno dei punti chiave è la riduzione delle società pubbliche partecipate e il loro efficientamento. Nel caso specifico dei servizi pubblici locali intervenire sarebbe facile da un punto di vista tecnico. Anche se la vera difficoltà è politica, in quanto c’è una serie di veti incrociati e tutti vogliono mantenere le loro posizioni di potere.

Di quali altre riforme ci sarebbe bisogno?

Tra le priorità c’è la riforma della Pubblica amministrazione. Siamo in presenza di tutta una serie di inefficienze che bloccano il sistema e che disincentivano fortemente gli investimenti stranieri. A ciò si aggiunge il problema dell’incertezza del diritto.

In che modo si possono favorire gli investimenti?

Quando una multinazionale deve decidere se ampliare gli investimenti in Italia, la prima cosa che si chiede la casa madre è: “Quanto ci renderebbe questo investimento?”. Molto spesso una risposta non è possibile perché non si può prevedere quale sarà l’architrave fiscale del sistema di qui a tre o quattro anni. Non si sa quindi né quante tasse si dovranno pagare, né quale margine di manovra potrà avere un’impresa. A chi vuole investire andrebbero stesi tappeti rossi, mentre in Italia si mettono ostacoli alle imprese dal mattino alla sera.

 

Per la Bce in Italia sta aumentando la gravità degli squilibri. A che cosa fa riferimento?

A una procedura chiamata “macroeconomic imbalance procedure” che è stata avviata da un paio d’anni e che attraverso una serie di indicatori serve a individuare dei punti critici nelle varie economie. L’Italia sfora in particolare tre indicatori: il tasso di disoccupazione medio al 10% negli ultimi tre anni; la diminuzione massima delle quote di mercato negli ultimi cinque anni; il rapporto debito/Pil al 60%. Quest’ultimo tra l’altro è un vincolo cui non adempie la stessa Germania.

 

Perché allora la Bce bacchetta soprattutto l’Italia?

Per la verità l’Italia sfora molti meno parametri di tanti altri paesi, solo che quelli che sforiamo noi sono considerati in modo più negativo di altri, soprattutto per quanto riguarda il debito pubblico per il quale siamo sempre sul banco degli imputati.

 

È per questo che il ministro Padoan ha rispedito le critiche al mittente?

Concordo pienamente con quanto ha affermato il ministro Padoan, secondo cui non possiamo attaccarci ogni mese a considerazioni così meccaniche sulla regola del debito. Sappiamo benissimo che questa regola esiste, ma sappiamo anche che l’Europa ha permesso all’Italia di compiere un avvicinamento più moderato al pareggio di bilancio in conseguenza delle riforme avviate e della condizione economica complessiva nel 2014-2015.

 

(Pietro Vernizzi)