Morto un accordo, se ne scrive un altro. Uguale e identico. Che cos’ha ottenuto Tsipras a Bruxelles sarà più chiaro nei prossimi giorni, quando lunedì incontrerà la Cancelliera tedesca. Di sicuro la tattica ateniese ha risolto il problema della leadership europea: chi decide è la signora Merkel. Intanto è stato bruciato un mese dei quattro di proroga concessi dall’Europa. Tsipras (senza essere accompagnato da Yanis Varoufakis) torna a casa con una “vittoria”, ma dovrà attraversare l’arco di trionfo del Parlamento, quando dovrà presentare il pacchetto di riforme concordato nelle prime ore di ieri.
In buona sostanza il primo ministro potrà dire che il controllo asfissiante della Troika è finito, che la “dura austerità” è sofferenza passata. Da oggi, stando al comunicato congiunto, sarà la Grecia “a presentare nel giro di pochi giorni una nuova lista di riforme”. Nel testo diffuso al termine dell’incontro si sostiene che tutte le parti “in uno spirito di reciproco rispetto sono impegnate ad accelerare e concludere il più velocemente possibile il lavoro sugli impegni assunti nell’Eurogruppo del 20 febbraio”. Inoltre, nel quadro “di questa cornice le autorità greche avranno la piena titolarità delle riforme e presenteranno una lista completa e dettagliata nei prossimi giorni”, a differenza della prima ritenuta lacunosa e vaga dai partner europei.
Tsipras ha pochi giorni per redigere una lista di riforme, presentarla, aspettare le valutazioni tecnico-economiche e restare in attesa di una tranche del prestito di 7,2 miliardi di euro. Passato alla cassa, il governo avrà due mesi di tempo per rinegoziare un accordo definitivo. A fine giugno le scelte di Atene saranno drammatiche. Da oggi il governo deve varare un piano praticabile per il pagamento di pensioni e stipendi – nel settore pubblico sono superiori del 35% fino al 43% di quelli del settore privato, nel pubblico il taglio della remunerazione e stato dell’8%, in quello privato del 19% – cioè dovrà trovare 1,7 miliardi.
Con la “piena titolarità (di Atene, ndr) delle riforme”, il governo avrà un ottimo argomento per sostenere che a Bruxelles ha vinto la linea dura imposta da Atene. Sosterrà che l’indipendenza nazionale è stata ripristinata, che il voto popolare ha ottenuto quanto chiedeva dagli europei. Com’è successo dopo l’accordo del 20 febbraio, il governo avrà tempo alcuni giorni per gioire nei dibattiti televisivi, prima che la concretezza delle riforme prenda una forma definitiva.
Comunque basta un salto indietro di alcuni anni e ricordare che nel 2010 Papandreou, dopo aver firmato il primo Memorandum, affermò che sarebbe stata Atene a decidere quale riforme avviare, e poi fare un altro salto nel 2012, quando Samaras, dopo aver firmato il secondo Memorandum, sostenne la titolarità ateniese delle riforme. I due persero la “titolarità” quando i creditori si accorsero che a fronte di tante promesse i loro governi erano aggrovigliati a lobby e consorterie che impedivano che le riforme diventassero leggi.
Quelle strutturali sono ancora in sala di attesa, mentre gli effetti delle riforme spicciole avviate da Papandreou e Samaras sono sotto gli occhi di tutti. Licenziamenti, abbattimento del costo del lavoro, tagli alla spesa sociale, ma soprattutto tagli e aumento delle tasse. Chi ha pagato per la restituzione degli interessi sul debito e sull’accumulo dell’attivo di bilancio? La classe media ha pagato il prezzo più pesante: gli stipendi bassi e medi hanno segnato un aumento del carico fiscale del 337,7%, mentre ai redditi alti è toccato un misero aumento del 9%.
Dal 2010 al 2014, secondo alcuni calcoli, il costo individuale del lavoro è diminuito del 12%, mentre il livello generale dei prezzi è aumentato del 2,5%, con una recessione al 22%. E soltanto nel 2012 (quando è stata applicata la riforma del lavoro) il risparmio netto delle industrie è aumentato dal 7% all’8%. I due avevano promesso lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, ai monopoli e agli “oligarchi”, un sistema fiscale più giusto, investimenti e privatizzazioni. Riforme queste che avrebbero creato un circolo virtuoso per la ripresa economica. Purtroppo quella classe politica ha mostrato tutti i suoi limiti culturali ed è in via di sparizione.
Adesso tocca al giovane Alexis Tsipras assumere la “titolarità” delle riforme e procedere a smantellare le ingessature economiche, promuovendo quei cambiamenti strutturali rimaste in sala di attesa. Dovrebbe fare un “restart” di un Paese senza basi produttive solide, e dovrebbe adottare una politica socialdemocratica che mal si concilia con alcune linee politico-sociali di una parte del suo partito che non controlla. La reale data di scadenza di questo governo sarà a fine giugno, quando si dovrà firmare un nuovo accordo sul probabile terzo prestito. Se però riuscisse a imbrigliare il dissenso interno, abbattere le oligarchie economiche, far pagare le tasse agli evasori, allentare la morsa della povertà e della disoccupazione, guiderebbe il Paese per almeno otto anni e sarebbe il primo premier ellenico che mantiene la parola data in campagna elettorale.
Questa sarebbe una vera “rivoluzione” che cambierebbe la coscienza sociale ellenica. Nel frattempo lui dà il buon esempio: ha viaggiato in seconda classe sull’aereo che lo portava a Bruxelles, e non si fa fotografare sul terrazzo di casa sua, situata in un quartiere periferico e popolare della capitale.