Do you remember Spending Review? Sì, quelle due paroline magiche che stanno a indicare il processo di revisione della spesa pubblica, allo scopo di individuare e attivare processi di razionalizzazione, riduzione degli sprechi, delle inefficienze, delle sacche di spesa improduttiva, ovvero uno dei grandi problemi strutturali del nostro Paese? La situazione è parecchio confusa ed è necessario fare un po’ di chiarezza sull’importanza della Spendig Review stessa, con la quale il Governo sembra giocare pericolosamente con il fuoco.
Ormai è nota a tutti la vicenda dei dossier Cottarelli, che nonostante i continui proclami, in gran parte non sono ancora stati resi pubblici, nonostante il ministro Padoan abbia recentemente dichiarato che “la Spending Review è viva e vegeta e ci sarà una implementazione ulteriore nella prossima Legge di stabilità”.
E c’è da augurarselo, visto che il 2015 potrebbe rivelarsi un anno davvero decisivo per l’Italia, un vero e proprio spartiacque. Se la congiuntura economica finalmente riprenderà un trend positivo, questo darà una mano al gettito fiscale e forse consentirà per l’ennesima volta di credere che sia possibile “tirare a campare” senza grossi interventi strutturali sulla spesa pubblica italiana, e il Governo avrà gioco facile a intestarsene il merito. Se invece la tanto attesa crescita continuerà a giocare a nascondino, ed è questo il quadro più probabile, gli esiti possono essere tanto imprevedibili quanto indesiderabili, considerando che con tutta probabilità scatteranno le clausole di salvaguardia, con il conseguente incremento dell’Iva dal 22% al 23,5%, portando la pressione fiscale sui cittadini italiani a livelli esorbitanti, probabilmente insostenibili e certamente ingiustificabili se consideriamo quello che i cittadini stessi ottengono in cambio da uno Stato divoratore di risorse e produttore di inefficienze.
Se vogliamo invece allentare la morsa della pressione fiscale su cittadini e imprese l’unica strada perseguibile è quella di un completo ripensamento della struttura della spesa pubblica, perseguibile solo attraverso una Spendig Review forte, drammaticamente d’impatto e condotta con criteri logici. Questo per due principali ragioni: da una parte, non è possibile proseguire con l’accetta di tagli lineari che tolgono risorse importanti laddove sarebbe invece necessario investire, dall’altra, non è immaginabile che all’interno del mostruoso apparato statale italiano, che assorbe la metà della ricchezza prodotta nel Paese, non ci siano possibilità di razionalizzazione, di riorganizzazione e talvolta anche di dismissione, soprattutto considerando il livello qualitativo di alcuni servizi offerti o i ripetuti casi di corruzione che ogni settimana ci accompagnano.
Alla luce di queste ragioni bisognerebbe accogliere con grande positività l’imminente nomina a Commissario straordinario per la Spending Review degli economisti Yoram Gutgeld (fedelissimo di Renzi, suo consigliere economico e deputato del Pd) e Roberto Perotti (docente della Bocconi, da tempo impegnato in approfondite analisi delle dinamiche di spesa pubblica e di come e dove intervenire per riqualificarla). È però lecito porsi più di una domanda.
Innanzitutto, il fatto di scegliere due “fedelissimi” di Renzi in sostituzione dello scomodo Cottarelli fa pensare più che altro a una manovra di facciata finalizzata soprattutto al controllo diretto da parte del Governo, piuttosto che alla reale volontà di individuare processi che vadano a incidere in maniera decisa sulla struttura della spesa pubblica o volte a scardinare realtà sedimentate in decenni di Governi che hanno utilizzato la spesa pubblica come strumento per ampliare il proprio consenso elettorale. In secondo luogo, Renzi ha più volte ribadito che il compito del Commissario alla Spendig Review è quello di formulare delle proposte tecniche, ma che poi la scelta del cosa e del come portare avanti queste proposte è una questione prettamente politica.
Allora che senso ha nominare altri Commissari straordinari per fare ulteriori proposte tecniche, quando il Governo ancora non ha preso in considerazione, o comunque non ha tradotto in provvedimenti, la grande e interessante mole di lavoro prodotta dal Commissario Cottarelli e dai suoi team di lavoro? Inoltre, sia Gutgeld che Perotti non sono novizi del settore e nel corso degli ultimi anni hanno prodotto diversi materiali con idee, spunti e riflessioni su come rivedere o rimodulare la spesa pubblica. È strettamente necessario un atto formale di nomina per avvalersi del loro contributo e consultare quanto da loro già proposto?
Se invece il problema è quello di trovare le modalità, le coperture e il coraggio di concretizzare proposte tecniche già esistenti per rifondare completamente la struttura della spesa pubblica italiana, allora è del tutto evidente che questo è un onere che può ricadere solo su Renzi in questo momento. Non è un compito facile, è qualcosa di realmente dirompente, che nessuno Governo nei decenni precedenti ha avuto la coscienza e il coraggio di fare, ed è innegabile che nel breve periodo ci possono essere anche dei costi sociali non indifferenti, con evidenti ricadute di consenso politico. Ma l’onda e la spinta verso il rinnovamento che ha portato Renzi al potere, era ed è tuttora basata anche sulla necessità di compiere scelte difficili, complicate, ma necessarie per il futuro del Paese e per il bene delle nuove generazioni.
Purtroppo l’impressione è che su troppi fronti l’esercito innovatore di Renzi, così come si proponeva all’inizio, stia battendo letteralmente in ritirata, lasciando il campo ai battaglioni gattopardeschi e poco innovatori del “cambiare tutto affinché nulla cambi”.