Russia e Grecia nel mirino dell’Unione europea. È stato infatti deciso di prolungare le sanzioni economiche contro Mosca fino alla fine del 2015. Il Consiglio Ue ha stabilito che “la durata delle misure restrittive nei confronti della Federazione russa, adottate il 31 luglio 2014 e rafforzate l’8 settembre 2014, debba avere un legame chiaro con la piena attuazione degli accordi di Minsk tenendo presente che essa è prevista entro il 31 dicembre 2015”. Intanto, il presidente dello stesso Consiglio Ue, Donald Tusk, ha convocato un incontro sulla Grecia cui hanno preso parte Tsipras, Draghi, Juncker, Merkel, Hollande e il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem. Il Cancelliere tedesco, riferendosi alla Grecia, ha commentato: “Se l’euro fallisce, fallisce l’Europa”. Ne abbiamo parlato con Luciano Barra Caracciolo, già membro del consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e autore del libro “Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra Costituzione e trattati europei”.
Che cosa ne pensa del prolungamento delle sanzioni Ue alla Russia?
Le sanzioni avrebbero un senso se l’Europa fosse effettivamente interessata all’estensione dell’area di libero mercato a Kiev. Non bisogna dimenticare che tutto il sommovimento in Ucraina nasce dal rifiuto di Viktor Janukovyc di ratificare il trattato di libero scambio con l’Europa. Questo inglobamento dell’Ucraina nell’area gravitazionale dell’Europa serviva da un punto di vista politico a portare la sfera di influenza Usa ai confini con la Russia.
Quali sarebbero i benefici per l’Ue?
L’Europa ne riceverebbe una convenienza ben limitata, considerato che specialmente Germania e Italia hanno un rapporto privilegiato con la Russia. Noi non abbiamo quindi nessun interesse a mettere Mosca in difficoltà dal punto di vista geopolitico. L’Ue non ha però una chiara visione dei suoi interessi, si è rivelata un organismo sotto l’influenza della geopolitica Usa ed è per questo che ha deciso di attuare le sanzioni. A questo punto noi ci troviamo a limitare le nostre esportazioni e a mettere in pericolo le nostre forniture di gas.
Riferendosi alla Grecia, la Merkel ha detto: “Se l’euro fallisce, fallisce anche l’Europa”. Allora che cosa abbiamo fatto finora?
Angela Merkel dice un sacco di cose, e spesso lo fa per creare uno shock politico-propagandistico. Un fallimento dell’Unione europea vorrebbe dire il venir meno dell’unione doganale e l’imposizione di forme di dazio alle merci. La verità è che ognuno gioca al massimo della sua spregiudicatezza e intransigenza, quantomeno da parte dei paesi forti, con la Germania che trascina la Francia.
Quali sono gli interessi di Germania e Francia?
C’è un fortissimo interesse del sistema bancario tedesco e francese nella questione greca, e quindi Berlino tiene questa posizione d’intransigenza. Ma il dato di fatto è che attraverso queste dichiarazioni la Merkel fa minacce cui non crede perché la Germania è quella che ha più da perdere da una situazione di questo tipo. Anche se ha dalla sua la forza dei trattati Ue imposti come un meccanismo infernale. Non si comprende perché i Paesi del Sud Europa, che si ritrovano a essere debitori e sottoposti a sistemi come il Fiscal Compact, non si ribellino anche loro, in quanto l’Italia non è poi così diversa dalla Grecia. È del tutto incomprensibile che si accetti questo sistema.
E secondo lei perché Renzi lo accetta?
Renzi si limita a continuare una linea che l’Italia ha intrapreso iniziando ad accettare il vincolo esterno. Chi lo ha escogitato aveva due obiettivi: la diminuzione dell’inflazione, che automaticamente sarebbe stata legata all’adozione dei vincoli monetari, e una maggiore disciplina nelle fabbriche. In questo modo cioè è nuovamente possibile controllare il costo del lavoro, secondo la convenienza della competitività. Il vincolo esterno sembrava così risolvere il conflitto sociale. Non si è pensato però che tutto questo avrebbe portato a un indebolimento, al cosiddetto output gap, alla disoccupazione strutturale e in crescita, all’inutilizzazione costante dei fattori della produzione e alla caduta del risparmio e degli investimenti.
(Pietro Vernizzi)