Dove porta lo slogan “L’Europa cambia”? “Vogliamo che la Grecia sia forte economicamente, che cresca e che venga fuori dalla alta disoccupazione”, ha detto Angela Merkel dopo l’incontro con Alexis Tsipras. Aggiungendo che il piano di salvataggio della Grecia varato in passato “non è stato una storia di successo”, ma “ha portato terribili risultati e enormi problemi sociali”. Da parte sua il Premier greco ha detto di voler “rispettare i trattati”, anche se occorrono delle correzioni sul piano sociale.



Tsipras è volato a Berlino forse leggendo il dispaccio dell’agenzia tedesca DPA in cui si riporta una dichiarazione di un funzionario vicino al ministro delle Finanze: “Sappiamo chi sono (i greci, ndr e daremo loro un’ultima occasione”. Il suo arrivo è stato preceduto dalle notizie che arrivavano da Atene circa un presunto scandalo che coinvolge il suo vice-ministro delle Riforme, e dalla pubblicazione della sua lettera inviata alla Cancelliera Merkel, il 15 marzo, quattro giorni prima dello “strano” mini-vertice di Bruxelles. 



Che cosa scrive, senza mezzi termini e quasi in tono ricattatorio, il primo ministro ellenico? Che sarà “impossibile” per Atene pagare le prossime tranche del debito accumulato verso le “Istituzioni” se Bruxelles non fornisse nel breve periodo assistenza economica. Tsipras offriva in cambio l’impegno di Atene a fornire in tempi brevi una nuova lista “completa e dettagliata” delle riforme cui si era impegnata all’Eurogruppo del 20 febbraio scorso, quando le vennero garantiti altri 4 mesi di ossigeno con un’ulteriore tranche di prestito da 7,2 miliardi di euro. “Visto che la Grecia non ha accesso al mercato del debito (cosa di cui nel testo Tsipras incolpa la Bce di Draghi, ndr), e visti i picchi (raggiunti) dai nostri obblighi per i pagamenti del debito in primavera ed estate […] dovrebbe essere chiaro che le restrizioni imposte dalla Bce al nostro accesso al mercato, combinate ai ritardi nella concessione di nuovi aiuti, renderebbero impossibile per qualsiasi governo onorare il debito”. Ma ancora più esplicitamente Tsipras aggiunge, rivolto alla Merkel: “Con questa lettera le sto evidenziando che il problema di non consentire un piccolo flusso di denaro di una certa ‘inerzia istituzionale’, si potrebbe trasformare in un grosso problema non solo per la Grecia ma anche per l’Europa”. 



In sintesi, nella lettera, Tsipras ha intimato alla Merkel che, senza alcun nuovo aiuto (ecco però i 2 miliardi ottenuti il giorno dopo dall’Ue) il suo governo sarebbe stato obbligato a scegliere tra l’onorare le rate del debito in scadenza, principalmente con il Fmi, o continuare a pagare stipendi e salari, che poi è la stessa ragion d’essere del suo governo, viste le promesse politiche fatte prima del voto. Il premier ellenico ha imputato il nuovo avvitamento della crisi, che avrebbe portato Atene al default, alla Bce, per aver imposto limiti alla capacità di Atene di emettere titoli a breve termine e al rifiuto delle autorità dell’Eurozona a concedere aiuti prima che la Grecia adotti nuove riforme economiche. 

In effetti, Atene ha problemi a pagare pensioni e salari ora a fine mese (ha appena onorato una rata da 340 milioni di euro con il Fmi, ma in totale sborserà entro il 31 marzo 1,5 miliardi) e potrebbe trovarsi con le casse vuote entro la prima settimana di aprile. D’altra parte era stato molto chiaro al riguardo il vice-primo ministro e ministro dell’Economia Yannis Dragasakis. Così com’era stato altrettanto chiaro il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, quando aveva dichiarato che “all’Europa non chiederemo soldi”. Ma i soldi sono esauriti. E si sta raschiando il fondo dei barili delle casse pensioni, delle società statali e parastatali. 

Stupisce comunque la mossa politica di Tsipras di inviare una lettera “ad personam” alla Cancelliera Merkel e non a tutti i paesi creditori che fanno parte dell’Eurogruppo. Stupisce anche questa “umiliazione” nei confronti del Paese con cui Atene ha innescato una dura polemica riguardo i debiti di guerra. In altre parole, il primo ministro ellenico si è rimesso alle decisioni tedesche, promettendo anche la privatizzazione degli aeroporti periferici cui è interessata una società tedesca. 

Tsipras è volato a Berlino con un pesante dossier di un’inchiesta giornalistica in cui è coinvolto un suo ministro. Certo è che il timing è stato perfetto. Domenica, il settimanale “To Vima” ha prodotto dei documenti circa l’attività legale di Giorgos Katrougalos, vice ministro delle Riforme, che, nella sua prima intervista dichiarò che il governo avrebbe riassunto tutti gli impiegati pubblici che la Troika aveva licenziato.

Il noto avvocato è sospettato di essere il patrocinante, nelle cause contro lo Stato, di alcuni impiegati pubblici licenziati o messi in aspettativa. Il giornale, al riguardo, si chiede come possa un ministro essere anche l’avvocato difensore in cause contro lo Stato. Sono seguite dichiarazioni, smentite e sostegno da parte del governo. Persino il Presidente della Repubblica si è visto costretto a smentire una dichiarazione di Katrougalos in cui sosteneva che Pavlopoulos, allora ministro del governo Karamanlis, continuava a esercitare la sua professione di avvocato. Cambiano i volti, restano le solide regole che vigono in questa società.

Faccenda ancora tutta da chiarire, anche perché, qui, non esiste l’incompatibilità tra esercizio della professione e ruolo parlamentare. E ancor di più è da capire il perché un giornale da sempre “filo-governativo” (pochi giorni prima delle elezioni aveva adottato le posizioni di Syriza) abbia sparato ad alzo zero contro il nuovo governo. Ma va detto che il giornale appartiene a un gruppo editoriale e imprenditoriale (DOL) che ha sempre fatto affari con i governi precedenti, usando, quando erano in discussione i suoi affari, l’arma del ricatto a mezzo stampa. Indubbiamente DOL appartiene a quella categoria di “oligarchi dell’informazione” che Tsipars vuole combattere e tassare. 

“Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”, sarà pur vero, ma qui i “duri” sono i ricchi che delle regole democratiche se ne infischiano, e non certamente un governo in bancarotta.