“Il programma Bce di acquisti dei titoli pubblici migliora il contesto macro, riduce l’incertezza e sostiene la fiducia, ma è destinato per sua natura a smorzarsi quando avrà raggiunto l’obiettivo”. Lo ha rimarcato Ignazio Visco, presidente di Bankitalia, il quale ha aggiunto che “per questo è il momento di intervenire strutturalmente sul potenziale di crescita dell’economia” con riforme per opera del governo italiano. Intanto Mario Draghi, presidente della Bce, ha detto in un’audizione al Parlamento europeo che le prospettive di crescita nella zona euro sono state riviste al rialzo e l’espansione economica sta acquistando slancio. In questa fase di indicatori positivi per l’economia sono in molti a chiedersi che cosa abbia determinato questo inizio di ripresa, soprattutto in Italia. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
I miglioramenti dell’economia dipendono più dalle riforme di Renzi o dalle politiche di Draghi?
Quanto sta avvenendo è dovuto interamente alla politica monetaria della Bce. A livello internazionale c’è un esodo di capitali dall’Eurozona, dovuto al fatto che il tasso d’interesse è stato reso privo di rilevanza. Il cambio dell’euro intanto scende, e questo effetto inflazionistico genera una ripresa dei prezzi e delle esportazioni, ostacolando nello stesso tempo le importazioni. In alcuni paesi membri, ma non in Italia, ci sono nuovi investimenti resi interessanti dalla riduzione del tasso d’interesse e da operazioni di cartolarizzazione. Complessivamente c’è una crescita di interesse nei confronti dell’Eurozona.
Come valuta invece lo scenario per quanto riguarda l’Italia?
In Italia i segnali di ripresa ci sono, ma non hanno a che fare con le politiche del nostro governo in quanto Renzi non sta facendo nulla. Il premier è prigioniero di una vertenza politica interna, e quindi rallenta ogni decisione che possa causare dissensi alla minoranza del suo partito. Nell’imminenza delle elezioni regionali non vuole inoltre disturbare gli interessi locali.
Quali sono i problemi che andrebbero affrontati e risolti?
Per l’Italia rimane il problema del blocco degli investimenti che deriva dalla rimozione dell’intera struttura delle grandi opere, nel periodo in cui queste ultime dovrebbero essere più convenienti. Abbiamo “incarcerato” le grandi opere proprio nel momento in cui andavano liberate. Avrebbero infatti messo in modo l’economia, visto che l’edilizia non può farlo in quanto è depressa dalla tassazione immobiliare.
Perché le grandi opere sono così fondamentali?
Investire negli immobili non appare conveniente, ci sarebbe quindi bisogno di farlo in infrastrutture, ma ora arriva un ulteriore rallentamento a causa dell’inchiesta giudiziaria. Intanto rimane aperta la vertenza sullo sviluppo della banda larga e non si sono novità per quanto riguarda lo Sblocca Italia. Non riesco a vedere in che modo, a causa delle riforme di Renzi, l’economia italiana abbia maggiori capacità di crescita rispetto ai governi precedenti. Anzi la situazione è forse peggiorata, perché la riforma tributaria subisce un rallentamento e ci sono nuovi inasprimenti delle leggi sul bilancio.
Ritiene che il Jobs Act sia una riforma dall’impatto nullo dal punto di vista economico?
L’impatto del Jobs Act è limitato al fatto che c’è un incentivo per le assunzioni con il contratto a tutele crescenti. Non ci sono però passi in avanti dal punto di vista dell’interesse delle imprese ad acquisire una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, nel senso indicato dall’Ue soprattutto per quanto riguarda i lavoratori a più bassa retribuzione. Il Jobs Act consiste in una vanificazione parziale dell’articolo 18, compensata dalla riduzione di un certo numero di fattori di flessibilità.
Nel complesso come valuta la riforma del lavoro?
Non è certo una grande riforma, anche se può darsi che nel lungo periodo ci siano dei mutamenti, ma per ora non è così. Gli stessi decreti attuativi che riguardano la flessibilità dopo il licenziamento, cioè il ricollocamento, non sono ancora stati approvati. Il Jobs Act pone così nuove incertezze ai lavoratori i quali temono che in caso di ristrutturazione si applichino a tutti i nuovi contratti di lavoro con possibilità di licenziamento.
(Pietro Vernizzi)