Oggi, 25 marzo, si celebra la festa dell’inizio della lotta per l’indipendenza (1821). Per translatio historiae, Alexis Tsipras è l’ultimo “condottiero” di questo Paese in grado di iniziare una “rivoluzione sociale” per allineare la Grecia ai parametri europei e ben diversa dall’ipotetica “rivoluzione” promessa in campagna elettorale e perseguita a denti stretti da una frangia del suo partito. Di qui a fine giugno dovrà dare mano a riforme strutturali profonde. Se gli elettori potessero votare queste future leggi, il primo ministro non avrebbe difficoltà ad applicarle. Invece dovrà fare i conti con la sua sinistra-sinistra e la destra nazionalista, e non è detto che il suo progetto riformatore non trovi ostacoli. Tanto per capirci, ieri il giornale on-line della sinistra Syriza titolava sul viaggio di Tsipras a Berlino: “Tè, simpatia e trepidante attesa”.



Di sicuro l’incontro di Berlino, che non ha prodotto effetti concreti, è servito come corroborante per l’opinione pubblica – quando Tsipras a chiare lettere ha chiesto alla Cancelliera un aiuto per perseguire penalmente i datori di tangenti Siemens. Già proprio la luterana Siemens ha pagato milioni di euro di tangenti a politici e imprenditori ellenici per i suoi affari in terra di Grecia –  e ha segnato un punto a favore di un suo ritorno al “realismo”. Finalmente Tsipras ha smesso di esigere le “riparazioni di guerra”;anzi,ha ammesso, in controtendenza con le sue dichiarazioni pre-elettorali, che non si possono addebitare agli stranieri tutte le colpe per la situazione sociale del Paese, e ha aggiunto: “Il programma non è stato un successo, ha creato problemi enormi e ha avuto effetti negativi. Ma non era soltanto questa la causa. Ci sono cause endogene, come ad esempio lo Stato inefficiente, l’evasione dei ricchi e la corruzione. Vogliamo cambiare il programma per la lotta contro questi agenti patogeni”.



Due mesi dopo le elezioni, Tsipras cambia decisamente rotta, abolendo tutto il bagaglio lessicale sul ruolo della Germania e della Cancelliera Merkel, definita allora “il peggior politico europeo”. Appena vinte le elezioni il Primo ministro affermò che non avrebbe chiesto la rata di 7,2 miliardi, né tantomeno avrebbe incontrato la Cancelliera tedesca nel corso del suo primo viaggio nelle capitali europee. “Il programma (di Tsipras, ndr) è così intenso che non può incontrare la Signora Merkel”, affermò un suo stretto collaboratore.

Su questi improvvisi cambi di direzione, la classe politica ellenica ha affrontato, dal 2008, la crisi economica. In quell’anno, l’allora primo ministro, Costas Simitis, disse che il Paese correva il rischio della bancarotta e sarebbe stato costretto a rivolgersi al Fmi. Venne smentito dal governo che sostenne la solidità dei conti. Nel 2009 il primo ministro Papandreou smentì una richiesta di intervento da parte del Fmi. Pochi mesi dopo, lo stesso Papandreou annunciò l’intervento del Fondo monetario internazionale. Nel 2012, l’allora capo dell’opposizione, Antonis Samaras, chiarì che non si dovevano tagliare pensioni e stipendi, tantomeno aumentare le tasse. L’anno successivo da Primo ministro operò tagli drastici e aumentò il carico fiscale.



L’attuale Primo ministro sembra non aver imparato la lezione, nonostante avesse promesso di dire la “verità” al popolo. Da Bruxelles, il giorno 20 marzo, affermò che la Grecia non aveva problemi di liquidità e che era in grado di far fronte al pagamento degli interessi sul debito, eppure cinque giorni prima aveva scritto una lettera alla Merkel in cui ammetteva che la Grecia non è in grado di onorare i suoi impegni finanziari.

Comunque dalle parole si deve ritornare ai fatti. E i fatti sono le casse vuote, ma soprattutto la lista delle riforme da presentare all’Eurogruppo che dovrà valutarle e dare la luce verde al pagamento di una tranche. Compito non facile per un governo che dovrà sicuramente varare delle riforme, alcune di queste finora ritenute indigeste: le pensioni, le privatizzazioni, la liberalizzazione delle professioni. Da Bruxelles insistono che alcune riforme devono avere un effetto immediato. È certo che questa volta la lista sarà completa e dettagliata. Sicuramente verrà approvata dall’Eurogruppo, e si arriverà a un accordo entro questo fine settimana. Poi da Bruxelles, la lista ritornerà ad Atene, in Parlamento. E per il governo inizieranno i “mal di pancia” con il capofila della sinistra-sinistra, Panagiotis Lafazanis, attuale ministro dell’Energia, il quale si è dichiarato contrario a ogni forma di privatizzazione in ambito energetico: “Le imprese pubbliche in campo energetico non solo non verranno vendute, ma verranno ammodernate e come tali saranno di supporto per un nuovo sviluppo e per lo sforzo sociale del Paese che avrà come epicentro la riduzione del costo energetico”.    

Il problema, dunque, non è che la Grecia ha un governo di sinistra. Il problema politico reale è che il Paese ha un governo sostenuto da parlamentari di sinistra che sono ancora incollati all’ideologia comunista. Credono, cioè, in un modello di produzione e sviluppo che è stato condannato dalle regole dell’economia. Se proprio questi nostalgici non sentono ragione, si potrebbe suggerire a Tsipras di organizzare un viaggio-studio in Cina, dove comandano i comunisti e si arricchiscono i capitalisti.

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