«Il fatto che la sostenibilità dell’euro venga collegata esclusivamente alla capacità di fare riforme o meno è sbagliato e rivela la debolezza del sistema con cui l’unione monetaria è stata costruita». Così Antonio Maria Rinaldi, docente di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e professore straordinario di Economia politica alla Link Campus University di Roma, commenta le parole che Mario Draghi ha pronunciato in audizione alla Camera dei deputati. Giovedì, il Presidente della Bce aveva infatti detto che “l’Unione rimane fragile perché le riforme rimangono affidate ai singoli ambiti nazionali. Non c’è modo di garantire che i paesi prendano le misure necessarie per farne membri all’altezza dell’unione monetaria, questa è una cosa a cui occorre guardare per pensare un cambiamento”.
Professore, qual è la debolezza dell’euro “svelata” da Draghi?
Il fatto che si è voluta costruire un’area valutaria partendo dall’ultima cosa, dalla moneta, che invece doveva essere un complemento finale a integrazione avvenuta. Correttamente si sarebbe dovuto procedere al contrario. Quindi, costruire prima un’unione politica e fiscale – che è quella che ora Draghi reclama – e poi adottare una moneta unica.
Draghi in un certo senso chiede agli stati di cedere altra sovranità.
Il Presidente della Bce parla come se avesse un qualche mandato politico, che invece non ha. Non credo poi che paesi come la Germania e la Francia siano disponibili a una cessione di sovranità fiscale e politica. Di fatto Draghi sta cercando di mettere delle toppe “tecniche” a una situazione che comunque è insanabile. Se non ci sono i presupposti di un’unione politica e fiscale di che cosa stiamo parlando? Lui potrà fare qualsiasi cosa, varare qualsiasi stimolo monetario, ma sarà solo un palliativo. In un certo senso sta mettendo le mani avanti.
In che senso?
È come se lui dicesse: io posso prendere qualunque provvedimento, ma se di fatto non c’è la volontà dei vari governi nazionali a procedere a una convergenza anche fiscale e politica, non si otterrà alcun risultato.
Quindi è come se avesse anche ammesso che il Quantitative easing non funzionerà?
Assolutamente. Le dirò che mi ha fatto piacere che qualche deputato gli abbia chiesto se lui pensa che gli stimoli monetari adottati siano idonei a correggere gli squilibri delle bilance dei pagamenti dei vari paesi. Perché questo è un altro grosso problema, con la Germania che ha un surplus superiore al 6%, da diversi anni e contro ogni regola. Questa è la dimostrazione tangibile che i tedeschi se ne stanno approfittando.
Prima ha detto che Draghi ha “sconfinato” nel terreno politico: riempie un vuoto e ha avuto una qualche “delega”?
Non credo che abbia avuto una delega. Penso che lui da tecnico sappia perfettamente che i giochi di prestigio della politica monetaria hanno dei limiti. In un certo senso ha ormai terminato le cartucce a disposizione e sa che l’unica cosa che può contribuire positivamente alla sua manovra monetaria è il supporto politico. Non ha nessun titolo o mandato per interferire col settore politico. E se per questo non ce l’ha nemmeno la Troika rispetto ai governi nazionali.
Draghi ha detto che l’Italia, grazie al Quantitative easing della Bce, avrà una spinta alla propria crescita di un punto di Pil da qui al 2016…
Rispondo con una battuta classica: non si è mai sentito l’oste parlar male del proprio vino. Fra l’altro sono rimasto positivamente colpito dal fatto che alcuni parlamentari gli abbiano espresso le proprie perplessità sul fatto che lo stimolo del Qe possa trasferirsi all’economia reale. E anche io ho i miei dubbi al riguardo.
Perché?
Sappiamo benissimo che di liquidità sui mercati ce n’è quanta se ne vuole, indipendentemente dal Qe, altrimenti non avremmo rendimenti così bassi dei titoli di stato. Il punto è che non c’è il trasferimento di questa liquidità all’economia reale. Il problema resta il fatto che per avere credito in banca ci vogliono garanzie che oggi famiglie e imprese non sono in grado di soddisfare.
Confrontando le sue previsioni con quelle del Governo, è come se Draghi avesse detto che la crescita dell’Italia sarà merito suo. È così?
Lui si accredita funzioni e meriti che non ha. D’altronde, come si dice, in un paese di ciechi beato chi ha un occhio. La sua forza deriva quindi dalla debolezza degli altri.
Draghi si è anche rivolto agli euroscettici, ricordando che lo spread a 500 punti base del 2011 “è esattamente quello che gli italiani hanno pagato per 15 anni in media prima dell’introduzione dell’euro”. Per il Presidente della Bce questo dovrebbe essere un elemento da considerare nel valutare l’utilità della moneta unica per la nostra economia. Cosa ne pensa?
Dopo che ho sentito queste parole di Draghi ho telefonato subito a dei miei amici americani e gli ho detto: guardate, siccome noi italiani abbiamo uno spread positivo sui vostri titoli di stato di circa 70 punti base, correte a fare le riforme! Battute a parte, il discorso dello spread non regge. Abbiamo visto che non è nient’altro che un termometro della propensione dei governi a sottostare alle regole imposte, uno strumento che viene usato per evitare il “dissenso”: lo si è visto con Berlusconi nel 2011.
Tra l’altro uno degli argomenti usati contro gli euroscettici riguarda i danni derivanti dalla svalutazione dell’eventuale moneta nazionale sostitutiva dell’euro. Ma proprio in questi mesi la valuta unica si sta svalutando…
Guardi, vorrei solo ricordare che in Italia abbiamo un sottosegretario all’Economia, Paola De Micheli, che qualche mese fa sosteneva che se noi tornassimo alla lira ci sarebbe un decremento del Pil pari alla svalutazione, cioè se la moneta si svalutasse del 30%, allora anche il Pil scenderebbe del 30%. Ora, pensando che l’euro è sceso del 25% sul dollaro, mi chiedo se avremo una diminuzione del Pil del 25%. O se invece il Sottosegretario ammetterà di aver detto una cosa insensata. Se questa è la preparazione delle persone che occupano dei posti di governo, per di più nel settore economico…
Intanto ci sono però dei paesi dell’Eurozona che crescono bene: la Spagna conta di avere un Pil al +2,8% nel 2015…
Sì, ma a quale prezzo, visto che la disoccupazione resta ampiamente sopra il 20%? Bisogna sempre chiedersi se vogliamo seguire il bene del Paese o il bene delle teorie liberiste che si sono impadronite dell’Europa.
(Lorenzo Torrisi)