L’altro giorno mio figlio mi ha chiesto di aiutarlo per un suo compito. Doveva scrivere quattro notizie positive tratte dal telegiornale. Ho provato a spiegargli che la cosa è quasi impossibile, perché una notizia positiva non è una notizia. Però gli ho anche detto che si poteva fare, perché in ogni notizia negativa si può sempre trovare un elemento, per quanto di minore rilevanza, positivo. Allora provo anche io oggi a esercitarmi in questo compito con voi, cari lettori. Perché di notizie negative ne avete quante ne volete, altrove. Ma solo dal positivo si riparte per costruire qualcosa di positivo. Senza comunque negarci nulla della realtà.



E la realtà è quella degli ultimi dati sull’economia italiana: la produzione industriale è scesa a gennaio del 0,7% su base mensile, del 2,2% su base annuale. Inoltre, c’è da commentare il calo pesante dell’euro, che ancora di più spazza via le ipotesi di disastro finanziario in caso di uscita dell’euro (paventando una svalutazione della moneta e conseguente inflazione, che ora non abbiamo pur avendo una forte svalutazione della moneta). Ci hanno raccontato per anni che ci voleva l’euro per impedire di risolvere i problemi economici con la svalutazione della moneta, perché la svalutazione della moneta è cosa cattiva economicamente e immorale; ma ora abbiamo l’euro che si svaluta: non è più immorale?



Avevo già scritto che, come dicono altri, questo sarà l’anno della svolta, in un modo o nell’altro. Solo che gli altri non vi dicono l’altro modo. E l’altro modo che quasi sicuramente accadrà sarà la presa di coscienza di un popolo e la fine di certe istituzioni. Come, per esempio, il Centro Studi di Confindustria. Visto che non la smettono di sfornare previsioni totalmente sballate, immagino che lo facciano al seguito di un’ideologia, quella liberista, che ormai non riesce più a comprendere la realtà. 

Come già detto in altro mio articolo, a fine gennaio il loro report annunciava trionfalmente una spinta del 2,5% al Pil dovuta alla felice combinazione di tre fattori: il Qe recentemente annunciato dalla Bce; la svalutazione dell’euro; la discesa dei prezzi del petrolio. E nessuno di lor signori studiosi si è accorto di un errore banalissimo e devastante: il petrolio, infatti, si prezza e si paga in dollari, quindi la svalutazione dell’euro rende più caro il dollaro e più care le importazioni pagate in dollari.



In concreto, dall’inizio dell’anno a oggi il prezzo del petrolio è passato da 53 dollari al barile a 48 dollari, ma nello stesso lasso di tempo il cambio euro/dollaro è passato da 1,2 a 1,05. Il risultato che il prezzo del petrolio in euro è sempre intorno ai 45 euro, anzi è leggermente salito. A conferma di ciò, pure i prezzi medi di benzina e gasolio al distributore sono aumentati, come dichiarato dal ministero dello Sviluppo economico. E chi fa rifornimento al distributore se ne è già accorto. Eppure c’è chi continua a dire che grazie all’euro pagheremo meno il carburante “a ulteriore vantaggio delle aziende che sfruttano il greggio ma anche dei tanti consumatori europei che usano l’automobile”. E la menzogna continua, poiché il vero obbiettivo è quello di non farci uscire da questo sistema che continua a indebitarci e ad assorbire a modico prezzo tutte le nostre risorse e le nostre proprietà.

Ma non dobbiamo prendercela con quei simpatici burloni del Centro studi di Confindustria. Perché dovremmo prendercela pure con l’Ocse e col Fmi, altri soggetti che continuano a sbagliare costantemente le loro previsioni, da quando c’è la crisi. E non dobbiamo prendercela neppure con Tsipras, che nonostante tutte le proteste, non ha intenzione di uscire dall’euro. Se dobbiamo prendercela con qualcuno, forse è la Germania, con quel governo che continua a tenere in piedi questa gabbia (anche se sempre più vi sono economisti e politici che propendono per un’uscita della Grecia dall’euro). Ma io penso seriamente che prima di tutto dobbiamo prendercela con noi stessi, che abbiamo permesso, anche se solo con un silenzio connivente, che questa gabbia fosse costruita. 

Però rimango ottimista, perché lì dove c’è il problema c’è anche la soluzione. E la soluzione siamo noi stessi, nel momento in cui iniziamo (o ricominciamo) a costruire le nostre comunità locali. Allora comprenderemo l’utilità (e la necessità) di una moneta locale.