Da ieri sera è cambiato qualcosa nel sistema bancario italiano: quel 4% che – “a titolo esemplificativo” – il comunicato del Monte dei Paschi di Siena assegna al Tesoro al termine della ri-ricapitalizzazione da 3 miliardi lanciata dal cda – riporta indietro l’orologio di decenni. È vero che proprio Mps è l’ultima grande banca italiana uscita dall’orbita pubblica o para-pubblica: il lungo dominio della Fondazione erede della proprietà statale è finito appena un paio d’anni fa. Ed è ragionevolmente questa la causa del subitaneo ritorno del Tesoro – via Monti bond, ora in parziale conversione – dopo l’unico vero crac abbattutosi sulle banche italiane.



Anche se il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola sono in via di riconferma all’assemblea convocata ieri, non c’è dubbio che il reingresso dello Stato – molto “renziano” al di à delle contingenze – segna la fine di un “sogno” che sembrava realizzabile dopo il maxi-aumento di capitale da 5 miliardi condotto sul mercato. Un successo che però l’implacabile stress test Bce non ha considerato sufficiente: troppi – anche per un fuoriclasse come Profumo – i buchi scavati nei conti di Siena dall’acquisizione di AntonVeneta e dalla gestione dell’indebitamento; ma soprattutto da decenni di gestione troppo municipale e troppo localistica della banca da parte di una città-partito. Chi inietterà ora 3 miliardi di ulteriore ricostituente a Rocca Salimbeni?



A Piazza Affari (dove pure ieri il titolo si è un po’ rinfrancato) non sono pochi quelli che continuano a scommettere su un esito diverso: su una fusione che chiuderebbe davvero una storia bancaria unica, iniziata nel 1472. Un’operazione che smonterebbe e rimonterebbe completamente il Monte come il tandem Profumo-Viola non ha avuto la possibilità di fare. Il candidato “cavaliere bianco” resta Ubi: una grande cooperativa colpita dal blitz del decreto Popolari. Dirgismo su dirgismo: ma forse è nel dna del Monte quello di muoversi a disagio nelle acque del mercato e di ritrovarsi fra i binari della politica creditizia.



(Il presidente della Fondazione, Marcello Clarich, ha promesso sorprese nel nuovo cda: sarà utile non solo al Monte ma anche al mondo delle Fondazioni, che pure ha bisogno di scrollarsi di dosso qualche scoria lasciata dal dissesto di Siena).