Dal 1 gennaio 2015 si è ampliata la platea degli interessati alla normativa del Reverse Charge: oltre che ai professionisti, anche le imprese attive nei servizi di pulizia e disinfestazione, demolizione, costruzione, completamento e manutenzione edifici e parte di essi di ogni genere, installazione e manutenzioni impianti (gas, elettricità telefonia, ecc.), cessione pallets legname riciclato e Grande distribuzione organizzata (in specifico cessioni di beni effettuate nei confronti degli ipermercati, supermercati, discount alimentari) devono sottostare al nuovo regolamento relativo al regime Iva di inversione contabile. 



La Reverse Charge, in italiano Inversione Contabile, è un particolare meccanismo fiscale che regolamenta l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto: con tale sistema colui che beneficia di una cessione di beni o di una qualunque prestazione legata all’erogazione di servizi, se è soggetto passivo nel territorio dello Stato, deve assolvere agli obblighi legati all’imposta in vece di colui il quale cede o presta il servizio. In “soldoni”, con questo sistema il Fisco vuole evitare che il fornitore finale di beni o di servizi, com’è successo e succede spesso, incassi dal cliente finale l’importo della fattura o dell’autofattura comprensiva di imposta, si intaschi fraudolentemente il totale e non versi il tributo allo Stato, come è d’obbligo. 



Essendo l’Iva una partita di giro (per questo viene definita imposta indiretta) è palese che con i vari passaggi aumentano esponenzialmente le probabilità di evasione.  Infatti, chi fornisce la merce deve fatturare prima e poi pagare al Fisco: con l’introduzione della Reverse Charge è il venditore al dettaglio (l’acquirente della merce, non il consumatore finale) a pagare direttamente. 

La scusa, come detto, è quella di prevenire frodi fiscali e combattere l’evasione, ma la vera ragione è che comunque l’Erario, stufo di perdere introiti tributari, cerca a ogni costo di incassare e non gliene importa nulla da chi riceve i soldi, basta introitare. Così facendo è il “povero” fornitore che ci perde, perché non ha più la possibilità di compensare l’Iva passiva con quella attiva, perché a prescindere da una possibile frode fiscale da parte del cliente finale, risponde lui del “maltolto”. 



Facciamo un esempio: l’Azienda XY usufruisce dei servizi da un’impresa di pulizie, la quale emette mensilmente una fattura con un imponibile di 100€ + Iva di 22€. L’Azienda XY paga regolarmente la fattura comprensiva dell’imposta del 22%. Nel regime Iva normale, questi 22€ l’Azienda XY li metteva in detrazione del totale della sua Iva vendite, versando mensilmente o trimestralmente all’Erario la differenza tra Iva attiva e Iva passiva e in base al risultato (positivo o negativo) andava a credito o a debito con l’Erario. Con la Reverse Charge questo non è più possibile perché il Fisco vieta la detrazione e l’Azienda XY di fatto, versa a esso i 22€. L’Erario, se l’impresa di pulizie fa il suo dovere, introita due volte il tributo, al contrario, cioè se la stessa fraudolentemente si intasca l’Iva e non la versa, ha comunque a disposizione i 22€ versati dall’Azienda XY (e che restituirà dopo circa un anno e mezzo sotto forma di credito d’imposta) e potrà poi attivare nei confronti dell’impresa di pulizie ogni forma di azione anti-evasiva. 

Il tutto, così facendo, può rappresentare il definitivo colpo di grazia per i piccoli e medi imprenditori, che già, in questi ultimi anni, sono riusciti a malapena a sopravvivere alla contrazione dei consumi e ai scarsi margini di guadagno. Infatti, ora si trovano a dover anticipare l’Iva fornitori (mentre continueranno a versare l’Iva incassata dai propri clienti) con l’unica speranza di un futuro rimborso di un credito d’imposta accumulato: si parla di un anno e mezzo di attesa (ipotesi per adesso fantascientifica) rinunciando al risparmio dato dal conguaglio Iva, che gli permetteva di pagare i loro debiti o investire tale denaro nelle attività dell’impresa. 

È il solito discorso: lo Stato cronicamente non riesce a incassare i tributi dai contribuenti e invece di architettare nuovi metodi di lotta all’evasione fiscale seri e incisivi, si inventa dei “rattoppi” spesso a danno di imprese oneste che con un assurdo carico fiscale e con la crisi economica in atto rischiano di scomparire. Una soluzione può essere che l’Erario riduca i crediti erariali dei passato e tenti almeno, con strategie azzeccate, di incassare le tasse evase rinunciando a sanzioni e interessi addebitati che si sono accumulati nel tempo e cui nessuno dei debitori del Fisco è in grado di far fronte. Non è meglio incassare il 40% di una cartella esattoriale che zero?