L’industria del risparmio gestito è in fibrillazione tanto quanto i mercati finanziari che fanno da terreno di gioco globale per gli asset manager di tutte le specie (in Italia il Montepaschi vuol cedere alle Poste la propia quota in Anima, UniCredit sta negoziando con Pioneer la cessione del controllo di Santander, Intesa Sanpaolo studia la quotazione di Fideuram).



Uno studio appena pubblicato dal Fondo monetario internazionale prende le mosse dall’evidenza che l’intermediazione finanziaria si è significativamente spostata dal canale bancario (depositi-crediti) al canale non bancario: entro il quale il risparmio delle famiglie viene indirizzato verso il mercato dei capitali nei suoi diversi segmenti. L’effetto principale di questo trend strutturale sull’intermediazione del debito delle aziende ha prodotto un vantaggio in termini di distribuzione-condivisione del rischio fra gli investitori.



Gran parte del finanziamento della banca, infatti, è reperito a breve termine (la banca – si usa dire – “trasforma le scadenze”). Le risorse rese disponibili dall’industria del risparmio gestito invece trasferiscono totalmente il rischio finanziario al sottoscrittore finale non creando rischio finanziario in capo a operatori di mercato che possono essere a loro volta sistemici.

La prima valutazione sollecita immediatamente due domande. La prima: quando il cliente del servizio di gestione del risparmio è un operatore il cui passivo ha una descrizione precisa, tale da normalmente impattare sul modo di gestire l’attivo (basti pensare a fondi pensione o compagnie di assicurazione attive nel ramo vita), la non rischiosità dell’operazione è ancora vera? Se apprezziamo la sensibilità dimostrata dalla reazione delle prime compagnie di assicurazione che in Usa sono state dichiarate sistemiche, un dubbio nasce. Anche prescindendo dall’efficacia dichiarata nel trasferimento del rischio realizzato, la crescita del peso di questi “nuovi” operatori introduce caratteristiche di incertezza diverse da quelle finora affrontate in prima battuta dai regolatori. Il nuovo operatore che assorbe parte dell’attività in passato più propriamente bancaria, ne conosce altrettanto bene gli aspetti secondari?



Il noto comportamento imitativo dei gestori dell’industria del risparmio gestito (“herd effect”) è in grado di aggiungere aspetti pro-ciclici al normale funzionamento dei mercati finanziari (aumentando e non riducendo così la rischiosità del sistema)? Non esistono mercati finanziari privi di rischio, esiste però la possibilità di ragionare sulle regole di funzionamento che abbiamo voluto per i mercati in cui lavoriamo e capire dove possiamo lavorare per ridurre le parti di rischio eliminabili.

Una parte del rischio sistemico associabile alle Società di gestione del risparmio (Sgr) deriva dalla loro dimensione, dal loro livello di integrazione verticale (normalmente al crescere dell’integrazione verticale, cresce anche il livello di leva operativa dell’attore), dal disegno nell’insieme di incentivi utilizzati per la valutazione del servizio fornito (possono spingere i comportamenti imitativi “herd effect”), omogeneità di sistemi informatici usati in un modo dove l’indicizzazione dei portafogli appare crescente.

Altra parte rilevante di origine del rischio sistemico é direttamente riconducibile alle scelte fatte dal regolatore. A livello accademico si riconoscono diversi operatori di mercato, tra loro complementari quando osservati negli obiettivi che perseguono (basti pensare alla diversità di obiettivo sottostante a una gestione assicurativa vita con durata ultradecennale rispetto all’obiettivo reddituale di un desk proprietario di una banca). Nell’economia reale la distinzione tra operatori esemplificata qui sopra è veramente così forte? La forte spinta alla valutazione mark to market delle posizioni dell’ attivo di una compagnia di assicurazioni realizzata senza una coerente valutazione del lato passivo deforma il comportamento imposto all’operatore regolato, spingendolo a minimizzare l’assorbimento e quindi il costo del capitale di rischio utilizzato, il comportamento indotto rimane complementare agli altri tipi di operatori presenti sul mercato o si rende più simile? Nella trasformazione del comportamento il livello di incertezza e rischio nel sistema è aumentato o calato?

Lo studio del Fmi lascia ancora in zona grigia anche il peso – a volte negativo – del regolatore nella gestione di rischi potenzialmente riducibili. Ma ha il merito di indicare con eleganza un’altra fonte di rischi troppo spesso sottovalutata affrontata dalle normative nella regolazione dell’operatività con parti correlate. È vero che banche e compagnie di assicurazione si trovano spesso al centro di snodi di cui fanno parte anche Sgr (nella definizione italiana, ma non intendo affermare che il fenomeno ha manifestazione solo in Italia, anzi), con il risultato di potersi trovare facilmente in situazioni di potenziale conflitto di interesse (la capacità del gestore di risparmio di essere canale di finanziamento diretto o indiretto del suo azionista principale usando risorse affidategli da terzi é evidente a chiunque). Più nascosta, ma altrettanto delicata è la situazione di quegli operatori, tendenzialmente di maggiore dimensione che affidano la gestione di parte dei propri attivi a fornitori di servizio non definite parti correlate, ma comunque “avvicinate” all’ interesse del cliente dal volume di commissoni annuali da questo percepite.

Al di là delle numerose questioni tecniche di merito, la speranza è che lo studio del Fmi non sia il primo faro acceso sulla prossima crisi. L’ultima è deflagrata ancora su un terreno prettamente bancario. La gravità degli effetti, auspicabilmente, dovrebbe funzionare da deterrente per future scelte sbagliate: sia da parte del mercato che dei regolatori.