“L’Italia sta pericolosamente camminando su un filo”. Sono le parole di Lorenzo Codogno, fino a poche settimane fa capo economista del Tesoro, riportate da Repubblica. Per l’esperto, “evitare di entrare in una spirale negativa (del debito, ndr) dipende dalla possibilità di migliorare in fretta il potenziale di crescita del Paese e sull’accelerazione del processo di riforme. Ma mancano alcune iniziative determinanti”. Secondo Codogno, la ricetta per la crescita è rappresentata da tagli di spesa più profondi, con l’obiettivo di finanziare la ristrutturazione della burocrazia, misure per ridare una formazione ai disoccupati e per aiutare i poveri, incentivi fiscali alle banche con crediti deteriorati e tagli alle tasse. Ieri intanto Bankitalia ha fatto sapere che il debito pubblico italiano ha raggiunto il massimo storico di 2.169,2 miliardi di euro. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Codogno sta segnalando un problema serio che si sta prendendo sotto gamba?
Codogno è espressione di organismi speculativi e di un mondo in cui si ripensa di scommettere contro l’Italia prendendo a pretesto il fatto che il debito continua a crescere. Ciò sta avvenendo per colpa di Renzi, il quale continua a ignorare che nello schema dell’Ue l’Italia deve raggiungere il pareggio di bilancio entro due anni. Anche se con il Quantitative easing una parte del debito è stato preso dalle banche centrali.
La bassa crescita è un problema per il nostro debito pubblico?
È vero che l’Italia non cresce, e ciò rappresenta un grosso problema per il nostro Paese ma non per l’euro. La moneta unica non corre pericolo, il debito italiano potrebbe essere commissariato e il nostro Paese anche. Il vero problema è che la politica attuale non è basata sulla crescita, in quanto è una politica redistributiva che non taglia le spese, ed è per certi versi sbagliata per certi suggerimenti dell’Ue che non si è curata di chiedere il taglio delle spese e la flessibilità del mercato del lavoro come priorità.
Lei che cosa ne pensa della ricetta per la crescita del professor Codogno?
Codogno fa proprie tutte le misure della vecchia sinistra, aggiungendo l’aiuto alle banche per consentire a queste ultime di risolvere i problemi dei loro crediti deteriorati. Le banche invece è giusto che paghino i loro stessi errori. Gli stessi aiuti ai disoccupati al posto di contratti di lavoro più liberi sono una follia. Si tratta di spese dannose, contrarie alla crescita e all’economia di mercato. Codogno ripropone così un modello neo-corporativo in cui si strizza l’occhio al governo demagogico-populista, per avere concessioni nei confronti delle banche che hanno compiuto degli errori.
Lei prima ha detto che Codogno è espressione di un mondo che ha deciso di scommettere contro l’Italia. In che senso il nostro Paese sarebbe sotto attacco?
Nel 2011 l’Italia subì un attacco speculativo partito da Londra, dove Barclays Bank e altri avevano stabilito che entro un anno l’euro sarebbe crollato. L’operazione contro il debito pubblico italiano serviva per raggiungere questo obiettivo. Sennonché Draghi è intervenuto in modo deciso impedendo che l’euro crollasse. Nel frattempo c’era stato questo attacco selvaggio contro i nostri titoli di Stato, con operazioni colossali sui derivati che avevano il compito di fare crollare l’euro. Codogno all’epoca sostenne che esisteva un grosso problema legato al debito pubblico dell’Italia. Questo problema riguarda soprattutto i nostri contribuenti, ma non certo il fatto che la Bce non avrebbe gli strumenti per difendere la moneta unica.
Secondo il Def, il rapporto debito/Pil scenderà dal 132,5% del 2015 al 123,4% del 2018. Come è possibile visto che la cifra per le privatizzazioni è molto più bassa?
Il governo prevede il pareggio del bilancio e delle operazioni di conversione del debito pubblico e di utilizzazione del Quantitative easing. Grazie all’aumento dei prezzi, il governo ha messo in contro un aumento del Pil monetario del 2,5% l’anno per tre anni. In questo modo si riduce automaticamente il rapporto debito Pil, se il nuovo debito è inferiore al debito di nuova emissione.
In che senso?
Se invece che al 2,6%, quest’anno il nostro rapporto deficit/Pil fosse stato al 2,4% la nostra situazione sarebbe stata di gran lunga migliore. Renzi però vuole restare un anno di più al potere, e quindi pensa sempre di prorogare il rientro dal deficit. Prima o poi però non gli sarà più concesso, e comunque quando siamo scesi sotto al rapporto deficit/Pil al 2%, con un tasso d’inflazione all’1,5% e una crescita dello 0,5%, il rapporto debito/Pil è destinato a ridursi matematicamente.
(Pietro Vernizzi)