«La reazione piccata di Renzi alle stime dell’Fmi sul Pil italiano non si spiega certo con la differenza dello 0,2% rispetto alle previsioni del governo. Nasce piuttosto dalle critiche del Fondo monetario internazionale al Jobs Act, definito un provvedimento inutile per la crescita con una bocciatura solenne del provvedimento simbolo del premier”. Sono le parole di Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara. Il Fmi ha stimato che il Pil italiano nel 2015 crescerà dello 0,5%, meno dello 0,7% stimato dal governo. Parlando al Salone del Mobile di Milano, Renzi ha commentato: “L’Italia ha tutto ciò che serve per essere uno dei Paesi che nei prossimi anni cresca più di tutti gli altri”. Ma ha poi aggiunto: “In tre anni gli italiani hanno messo da parte, preoccupati, anzi terrorizzati dalla crisi, 350 miliardi di euro in più”.



Renzi dice che il nostro Paese ha tutte le potenzialità per crescere. Ma il suo governo sta facendo il possibile perché ciò avvenga?

Noi siamo appesi al successo del piano di Gutgeld e Perotti per realizzare tagli da 10 miliardi di euro da qui all’autunno, perché altrimenti scatterà un aumento dell’Iva. Trovo contraddittorio che si parli di rilanciare i consumi e di famiglie terrorizzate, e poi ci sia incertezza perfino sull’aliquota dell’Iva. L’ultima volta che l’Iva è aumentata il gettito si è infatti ridotto. È chiaro quindi che il governo predica bene ma razzola male.



Perché Renzi ha sentito la necessità di ribattere alle cifre del Fmi?

Renzi ha risposto in modo piccato in quanto il Fmi ha messo in dubbio le stime di crescita da parte dello stesso governo. Il premier ha fatto appello all’orgoglio nazionale. Anche se il modo corretto di appellarvisi sarebbe intraprendere dei passi che portino gli italiani a comandare a casa loro, mentre sappiamo che da questo orecchio Renzi non ci sente.

In che senso?

Il nostro governo si è fatto un punto d’onore di rispettare il parametro deficit/Pil del 3%, che in Europa non sta rispettando praticamente nessuno. Poi però il presidente del consiglio si risente se il Fondo moneario internazionale osserva che in questo modo cresce poco, e fa appello al sentimento di orgoglio nazionale degli italiani. Lo fa però in modo non molto sensato.



E quindi?

Questo fatto di cronaca apparentemente insignificante ci racconta che lo sbocco di questo progetto di integrazione fallimentare è il nazionalismo. È cioè il fatto di esaltare le virtù nazionali contro ogni logica e contro ogni ragionevole prospettiva politica. E questo dal mio punto di vista è molto pericoloso.

 

Ma in fondo uno 0,2% in più o in meno è così determinante?

Il problema non è tanto lo 0,2% in più o in meno sul Pil. Il vero punto per il quale Renzi è irritato è un altro, e cioè che il Fondo monetario ha detto che le politiche di flessibilità del mercato del lavoro non aumentano la crescita. Nel rapporto sull’economia mondiale del Fmi c’è scritto che il Jobs Act è inutile. Il premier ha replicato così perché la misura simbolo del suo governo è stata sconfessata dallo stesso Fmi.

 

Più che sull’economia però il nostro governo sembra essere concentrato sull’Italicum…

Un sistema economico che sta scontentando la maggioranza delle persone può sopravvivere politicamente solo se comprime la democrazia. In democrazia comanda la maggioranza, e in questo momento la maggioranza degli italiani non è contenta, bensì oppressa economicamente e dal punto di vista dei diritti politici fondamentali. L’idea di avere una “legge Acerbo” come quella di cui si servì Mussolini nel 1923 è assolutamente coerente con il fatto che siamo da anni in una situazione di crisi nella quale la maggioranza è scontenta e vuole un cambiamento. La legge elettorale serve proprio a impedire questo cambiamento.

 

Durante l’aggressione contro Draghi ieri una manifestante gli ha gridato: “Fermiamo la dittatura della Bce”. Come commenta questo episodio?

Già sette anni fa l’economista Axel Leijonhufvud disse chiaramente che l’indipendenza della Bce è una minaccia per la democrazia. Lo stesso concetto è stato espresso da altri economisti, ed effettivamente esiste un problema di compressione dei diritti politici legato a questo assetto istituzionale. Il modo migliore per affrontarlo ovviamente non è certo tirare i coriandoli a Draghi. Sta di fatto però che ormai si comincia a diffondere la percezione che noi dalla crisi non usciremo se non finanzieremo con moneta la spesa pubblica. È proprio ciò che la Bce è preposta a non fare. Come ogni forma di governo, anche questo tipo di dittatura può andare bene in certi tempi, ma in altri, come in quello attuale, va particolarmente male.

 

(Pietro Vernizzi)