Con perfetto contrappasso dantesco, sul “fallimento del fallimento” di Mps il sipario cala quando è premier il super-sindaco di Firenze. L’assemblea-fiume di ieri è probabilmente l’ultima “dal 1472”. Altre volte è andata in dissesto la banca civica nata per combattere l’usura attorno a Piazza del Campo. Ma solo negli ultimi tre anni il Monte ha fallito anche la gestione del suo fallimento più grave: l’acquisizione dell’Antonveneta del 2007, con un indebitamento sostenibile solo a costo di derivati insostenibili.
Anche se il famigerato derivato “Alexandria” sarà chiuso durante l’estate dalla controparte Nomura senza ulteriori oneri per i conti, è assai difficile che il Monte fra un anno sia autonomo. Non è un caso che il presidente della Fondazione, Marcello Clarich, abbia confermato che per il nuovo presidente “è stato incaricato un cacciatore di teste” e che “ci sono già dei nomi”: sarà un numero uno di transizione, utile a traghettare Rocca Salimbeni verso un nuovo gruppo. Chi proverebbe a fare il presidente “vero” dopo quello che ha detto ai soci l’ultimo presidente “vero”?
“Solo in Italia avviene che chi lavora gratis per risanare una crisi venga insultato”, si è sfogato ieri Alessandro Profumo, in uscita dopo l’ennesimo aumento di capitale imposto dalla nuova vigilanza Bce. Forse anche il banchiere superstar, pure provato dalla crisi finanziaria a UniCredit, si è ritrovato a masticare polvere di ferro attorno al Palio. Era pronto a gestire un dissesto bancario molto serio: non una città-banca decisa a “resistere o morire”. Facendo magari molte vittime: la credibilità delle Fondazioni bancarie sarebbe la meno accettabile; la moralità politico-finanziaria del Pci-Pds-Ds-Pd quella che non paga mai dazio.