Con la definizione del Documento di economia e finanza (Def), il Governo ha deciso di accelerare sulla spending review. Il nuovo Commissario straordinario, Yoram Gutgeld, ha detto che l’operazione sarà di almeno 10 miliardi di euro, e che si agirà in particolare su Pa, imprese partecipate, enti locali, forse di polizia, trasferimenti al trasporto pubblico e incentivi alle imprese. Esclusi, invece, interventi sulle pensioni. Abbiamo chiesto un commento a Ugo Arrigo, Professore di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano.



Professore, cosa ne pensa della cifra ipotizzata, 10 miliardi?

Come valore assoluto la cifra non è assolutamente consistente, anche perché stiamo parlando di poco più dell’1% della spesa pubblica. Non si capisce però perché il Governo abbia sostanzialmente perso un anno, dato che nel marzo del 2014 aveva già in mano le proposte di Cottarelli. È stata fatta un’analisi molto accurata su molti fronti e temi, con basi scientifiche, ed è stata messa nel cassetto per tirarla fuori un anno dopo.



Proprio in questi giorni sul sito del Tesoro sono stati pubblicati i 19 rapporti dei gruppi di lavoro di cui si è avvalso Cottarelli.

Io gli ho dato un’occhiata, ma non mi paiono particolarmente esplosivi. Le proposte più importanti erano quelle formulate direttamente da Cottarelli, questi erano solo i lavori preparatori fatti dai dirigenti, dai tecnici dei ministeri. Mi sembrano quindi di una portata inferiore rispetto alle proposte di Cottarelli. Mi sembra ormai che la spending review abbia più un effetto scenografico che un compito di supporto reale alle decisioni di spesa. 

In che senso?



Quando si vuol far vedere che si è impegnati a contenere la spesa si tira fuori la spending review, poi il lavoro serio viene messo nel cassetto. In questo senso è eclatante che si parli di revisione degli incentivi alle imprese quando al riguardo da tre anni esiste il Piano Giavazzi. A parte questo, mi sembra poi che la spending review sia logicamente sbagliata.

Perché?

Dal punto di vista metodologico, qualunque tipo di spesa va studiata, guardata bene e vagliata prima che sia compiuta. Certo, la verifica a posteriori può essere utile per capire le ragioni di un eventuale “malfunzionamento” della spesa, ma resta il fatto che le valutazioni andrebbero fatte prima.

L’obiettivo principale che si è dato Gutgeld è di evitare che l’anno prossimo scattino le clausole di salvaguardia che comportano un aumento dell’Iva. Ci riuscirà?

Sì, perché l’aumento dell’Iva sarebbe un fortissimo insuccesso per il governo. Questo non vuol dire che raggiungendo quell’obiettivo si avrebbe un successo: accontentarsi di questo sarebbe troppo poco. E temo che ci ritroveremo di fronte a una spending review fatta dall’euro. 

 

In che senso?

La politica monetaria della Bce sta riducendo il costo degli interessi sul debito. Abbiamo quindi già dei risparmi di spesa. Il problema è che tutto questo rischia di essere controproducente, perché spinge a non intervenire sui settori dove si dovrebbe.

 

In questo senso il Governo è intenzionato a escludere dalla spending review le pensioni, che costituiscono il capitolo di spesa pubblica più rilevante. Cosa ne pensa?

È come se un’impresa si rifiutasse di prendere in considerazione la voce di costo più grossa che ha. E in genere quando si cercano razionalizzazioni di costo si parte dalle voci di costo più alte. Noi abbiamo un impianto di pensioni costruito con criteri di tipo retributivo e questo sistema garantiva pensioni tanto più alte rispetto ai contributi versati, quanto più era alto lo stipendio. Ora, se per le pensioni minime è ragionevole che gli assegni siano più alti dei contributi versati, così non è per i benestanti.

 

È quindi d’accordo con Boeri, che ritiene vi siano delle pensioni che non trovano giustificazione nei contributi versati?

Sì sono d’accordo con il Presidente dell’Inps. Credo che le pensioni superiori al trattamento medio andrebbero analizzate per vedere se hanno una base nei contributi versati. Se così non è, gli assegni dovrebbero essere ricalcolati con il sistema contributivo. La differenza costituirebbe un importante risparmio e potrebbe essere anche trattenuta mediante un blocco della rivalutazione delle pensione, fintanto che la cifra in eccesso non viene riassorbita.

 

La Corte Costituzionale ha già però bocciato un intervento sulle cosiddette pensioni d’oro…

Se noi distribuiamo un diritto economico (la pensione), a esso corrisponde un dovere simmetrico. I diritti sono acquisiti, ma il dovere di pagare le risorse a chi lo abbiamo appioppato? Oggi lo Stato non è più in condizioni di stampare moneta se non ne ha. I risparmi ottenuti da questa operazione andrebbero a riequilibrare la fiscalità pubblica. Questo sarebbe il riconoscimento che è stato usato un criterio sbagliato, scorretto, iniquo e finanziariamente insostenibile nel calcolare alcune pensioni. 

 

In questi giorni il Governo sta preparando il Def e quest’anno non si potrà dire che c’è una congiuntura negativa per non onorare il Fiscal compact. Padoan sembra voler puntare sulla “clausola di flessibilità sulle riforme strutturali” per evitare di dover reperire 5 miliardi di euro. Ci aspetta un nuovo “scontro” con l’Europa?

L’Europa sarà sicuramente attenta e molto vigile, anche perché non può permettersi di essere dura con la Grecia e morbida con gli altri paesi. Questo significa che dobbiamo non solo mettere in campo riforme che portano a risparmi di spesa, ma anche riforme più ampie e importanti. In questo senso, il problema principale dell’Italia non è il livello della spesa pubblica, ma la mancata corrispondenza tra quanto si spende e quanto si produce nel settore pubblico.

 

Ci vuole allora una riforma della Pubblica amministrazione?

Sì, perché il contribuente paga per servizi che non valgono quanto pagato. Questo avviene in molti settori e non su tutto il territorio nazionale.

 

Per come il Governo ha agito finora, è possibile vincere questa partita delle riforme con l’Europa?

Secondo me, no. Credo che rischiamo di arrivare a una qualche forma di compromesso, per cui si fanno alcune cose, si fa finta di farne altre, ma poi alla fine il problema per cui nel contesto europeo non siamo adeguatamente performanti nel settore pubblico non viene affrontato. 

 

Perché questo problema non viene affrontato?

Perché determinerebbe una perdita di consenso. È molto facile fare la riforma del mercato del lavoro nel settore privato dove c’è disoccupazione e quindi non può esserci una pressione sindacale per il mantenimento dello status quo. Il settore pubblico è un muro di gomma: siccome non ci sono disoccupati del pubblico impiego, alla fin fine si rischia di mantenere tutto com’è.

 

Come dovrebbe essere fatta una vera riforma della Pa?

Bisogna cancellare l’autoreferenzialità del settore pubblico, che spesso produce posti per i suoi dipendenti e non servizi per i suoi cittadini. Laddove i servizi sono a domanda individuale va usato un sistema di prezzi per pagare l’ente pubblico che fornisce il servizio. Se la qualità non sarà adeguata quell’ente non avrà i soldi per pagare gli stipendi ai suoi dipendenti e dovrà quindi rivedere i suoi conti.

 

(Lorenzo Torrisi)

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