Non più tardi di quattro giorni fa Alessandro Profumo, presidente uscente di Mps, si è visto costretto a replicare duramente a un socio in assemblea a Siena: “Devo dire che è un fenomeno particolarmente interessante, e che fa parte di questo Paese, che chi senza compenso cerca di sanare danni che altri hanno fatto viene insultato”. Ora tocca a Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri: iscritto nel registro degli indagati della Procura di Milano per presunto aggiotaggio, su esposto dell’allora presidente del Monte, Antonella Mansi. Anche questa vicenda – per usare le parole di Profumo – “fa parte di questo Paese”. E forse la cosa più opportuna è lasciarla raccontare all’articolo del collega di Repubblica del 23 dicembre 2013 che – a quanto risulterebbe – i Pm di Milano avrebbero giudicato penalmente rilevante.



Mps, Fondazioni e Fondi in campo, offerta bis per il 20%

Il mercato mette sotto i riflettori il titolo del Monte dei Paschi, sul quale piovono gli acquisti in vista dell’assemblea del 27 dicembre che dovrebbe avviare l’aumento di capitale da 3 miliardi e in scia alle mosse della fondazione Mps, primo socio della banca. Al centro dell’attenzione c’è lo studio di una soluzione che sblocchi l’impasse nella quale si trova l’ente di Palazzo Sansedoni, che potrebbe arrivare a cedere una quota del Monte dei Paschi (ne ha il 33,4%) ad altre fondazioni e fondi d’investimento per far cassa. Potrebbe così rimborsare parte del debito (a oggi a 340 milioni), seguire parzialmente l’aumento di capitale e restare così azionista della banca. La Fondazione Mps ha smentito che ci sia una formale trattativa a riguardo.



Aveva chiesto 14 centesimi di euro per azione. Ieri, al secondo round di trattativa segretissima, glieli avrebbero informalmente offerti. Antonella Mansi, tenace presidente della Fondazione Mps, a ore riunirà la sua deputazione per far esaminare la proposta bis di una cordata di investitori italiani e stranieri, fondi e Fondazioni ex bancarie. Difficilmente la proposta, da formalizzare entro domani, verrà rifiutata, anche perché in caso contrario si aprirebbe un crepaccio forse mortale per il “sistema Siena”, composto dalla più antica banca del mondo e dal suo ente azionista, inguaiato per aver voluto seguire fino in fondo le strategie disgraziate della passata gestione.



Le trattative erano imbastite da una decina di giorni, ma la prima offerta delle fondazioni – a un prezzo attorno ai 12 centesimi per azione – erano state rifiutate da Mansi, perché non avrebbero consentito all’ente di garantirsi un futuro dentro la banca conferitaria. La situazione, infatti, è complessa e quasi compromessa. Fondazione Mps ha un debito da 340 milioni e tutto il suo 33,5% di azioni nella banca è in pegno a una dozzina di creditori, che potrebbero escuterlo non appena il titolo scende a 0,128 euro (venerdì ha chiuso a 0,169 euro). Non avendo i soldi per sottoscrivere la ricapitalizzazione imposta dalla Commissione Ue al Monte per restituire nel 2014 almeno 2,5 miliardi dei 4,07 miliardi prestati dal Tesoro, la Fondazione premeva per un aumento ritardato a maggio del prossimo anno.

Tutto il contrario del management della banca, che approfittando della fase favorevole dei mercati era riuscito nel non facile compito di radunare una dozzina di banche d’affari che garantissero un aumento da 3 miliardi da far partire entro fine gennaio. Con questi opposti argomenti si era arrivati allo scontro frontale, e l’assemblea per votare l’aumento, convocata a Rocca Salimbeni il 27 dicembre, prometteva scintille (Mansi aveva già dichiarato e ribadito che avrebbe votato contro la proposta del management, che si sarebbe probabilmente dimesso).

Di qui la necessità di un intervento “di sistema”, nato dalle preoccupazioni del ministro Fabrizio Saccomanni e per l’orgoglio del presidente della Cariplo (e delle 88 Fondazioni riunite in Acri) Giuseppe Guzzetti. Della partita, a quanto si apprende, sarebbero Cariplo, Fondazione Cariverona e forse Compagnia di Sanpaolo (che oggi riunirà gli organi deliberanti), oltre a due o tre fondi italiani e stranieri. Insieme, investendo quasi 350 milioni in contanti, rileveranno poco meno del 20% delle azioni Mps in mano alla Fondazione, che resterà con il 13,5%. L’ente senese rimborserà parte dei debiti alle banche, e userà parte dei denari per sottoscrivere una quota in aumento che le permetta di restare azionista attorno al 5%. La cordata Fondazioni-Fondi, invece, sborserà un altro mezzo miliardo (i numeri precisi dipendono dall’esito della trattativa, ma anche dal prezzo di emissione che è stimato attorno a 15 centesimi) per restare attorno al 17% post aumento.

Nessun patto, e nessuna richiesta di governance, sembra profilarsi. Lo spirito della cordata è, piuttosto, di salvare capra e cavoli, fornendo ossigeno finanziario alle due istituzioni senesi; possibilmente rivendendo le azioni Mps entro breve, approfittando del possibile rimbalzo borsistico se la ricapitalizzazione riuscirà. Un preliminare fondamentale, a riguardo, sarà l’assemblea: che in caso di accordo tra Mansi e la cordata dovrebbe riunirsi il 27 o il 28, per votare sì all’aumento subito come chiesto da Fabrizio Viola e Alessandro Profumo. 

Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Mps, ha precisato: “La Fondazione Mps smentisce categoricamente qualsiasi ipotesi di cessione con i soggetti e le modalità citate nel suddetto articolo e che tanto meno sia programmata una riunione della deputazione amministratrice per valutare qualsivoglia proposta”. “Anche la riunione odierna della deputazione generale non vede all’ordine del giorno tale argomento”. Anche la in una nota precisa di “non avere in corso alcuna iniziativa di intervento nelle operazioni ipotizzate”.

 

Un pezzo di ineccepibile giornalismo finanziario: niente intercettazioni passate dal palazzo di giustizia, solo notizie trovate dal giornalista sul mercato, ricostruite e verificate in trasparenza presso tutte le fonti. Dunque: una banca in dissesto, una Fondazione che – a differenza delle consorelle – ha portato la sua banca al dissesto violando sistematicamente le regole; un presidente-manager di capacità sperimentate che cerca (gratis) di far almeno galleggiare la banca in dissesto: con l’appoggio di un ministro del Tesoro preoccupato per la stabilità del sistema bancario e di altre Fondazioni che – a differenza dell’Ente Mps – non hanno perso il loro patrimonio, non hanno voluto rimanere a tutti i costi padrone della loro banca, non hanno mal gestito la banca fino al dissesto. Ma cos’è accaduto dopo? 

L’intervento delle Fondazioni non matura perché l’Ente – presieduto dall’industriale “indipendente” Mansi – ha bloccato tutto: ha presentato anzi un esposto sulla “fuga di notizie” sulla trattativa riservata. Anche l’aumento di capitale urgente da 5 miliardi sollecitato da Profumo viene rinviato di sei mesi e quando si realizza, richiama solo due investitori sudamericani, che puntellano l’Ente e tranquillizzano momentaneamente il “groviglio armonioso” di Siena, disperato all’idea di perdere la sua banca-città. Ma l’illusione viene spazzata via quasi subito: a ottobre, lo stress-test che inaugura la vigilanza Bce innalza proprio il Monte sulla gogna di peggior banca dell’eurozona, di unico serio “buco nero” patrimoniale.

Il resto è cronaca: il lancio obbligato di un nuovo aumento di capitale da 3 miliardi e il pressing di tutte le autorità di vigilanza, italiane ed europee, perché Mps venga finalmente inglobato in un’altra realtà bancaria e avviato a un risanamento impossibile fino a che Rocca Salimbeni resterà avvolta nel suo velenoso groviglio municipale.

Nel frattempo alcuni dei responsabili del disastro-Monte vengono condannati: ma non per il crac (l’acquisizione suicida di Antonveneta nel 2007 la gestione dell’indebitamento attraverso derivati letali), quanto per il reato periferico di ostacolo alla vigilanza. Nel frattempo lo Stato deve intervenire direttamente nel Monte (unico caso in Italia) convertendo in azioni un prestito d’emergenza. Nel frattempo, infine, la Procura di Milano si inventa una nuova “narrazione” del disastro Mps: il passaggio più grave sarebbe stato un tentativo di salvataggio di una banca in dissesto da parte della prima Fondazione italiana e a un articolo di giornale che ne dava conto in modo fedele.