Prendi un dato, mettilo accanto a un fatto: se di colpo si fa buio, e magari piove pure, sono cacchi. Per tutti. Il dato: il Centro studi Confcommercio riferisce che i redditi delle famiglie al 2013 ammontano a 1.303 miliardi di euro, la stessa cifra disponibile dalle famiglie nel 1988. Il fatto: nell’arco di questi 25 anni un gigantesco aumento, in volume e numero, di nuove merci si è riversato sul mercato (dati e fatti che, seppur con variazioni marginali, si scontrano in tutti i paesi Ocse).
Miscelati ben bene dati e fatti, ecco che i redditi erogati dalle imprese, a chi lavora per produrre merci, sono risultati insufficienti ad acquistare quanto prodotto, impallando il meccanismo dello scambio. Quando questo accade lo squilibrio si mostra patente. Sul mercato stanno un’offerta in eccesso e una domanda in difetto: merci non valutate = merci svalutate.
Produttori e consumatori, seppur soci in solido per fare la crescita, mancano l’esercizio del loro ruolo. La produttività totale dei fattori collassa; viene dissipata ricchezza. In questa intricata matassa della crisi, si mostra evidente come la crescita economica renda indifferibile l’esercizio della spesa. Bene, il bandolo della matassa sta proprio in questa indifferibilità, basta prenderlo e tirare. Tirato, ne esce un tweet: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi con la spesa remunera”.
Riallocare, appunto, quei 1.600 miliardi di euro l’anno che la crescita genera e il Pil misura. In quel gruzzolo ci sta pure il profitto, da non confondersi con gli utili d’impresa, che nel sistema circolare e continuo della produzione manca di ragione economica. Riallocare quel profitto, abbassando il prezzo delle merci, migliora la capacità competitiva dell’impresa, rifocilla quel potere d’acquisto buono per tornare a fare la spesa, smaltire sovraccapacità e generare reddito nuovo di zecca.
E, se tutto questo rischia di apparire solo un dire, ci sono imprese che nel fare affari già lo fanno. Ikea, commercia mobili con una filosofia d’impresa fatta apposta per noi: rinuncia a porzioni di profitto ottenendo un impareggiabile vantaggio competitivo e utili. Vende mobili da montare, chi li acquista impiega tempo per il montaggio, ne ricava il prezzo più basso sul mercato che rifocilla il potere d’acquisto.
Televisione commerciale, quotidiani on line gratuiti e free press hanno un core business che sta nell’impiegare i palinsesti e le notizie per conquistare prima e vendere poi la mia attenzione ai pubblicitari, che la rivendono agli inserzionisti. Basta prestare l’attenzione. Con quelli della televisione si ricava informazione e intrattenimento, 24/24, senza spendere il becco d’un quattrino. Con quelli dei giornali, notizie a costo zero. Un bel ricostituente per il potere d’acquisto: 1 euro x 365 = 365 euro l’anno.
Groupon, Groupalia, Let’s Bonus, ecc. fanno lauti guadagni intermediando tra un’offerta in eccesso e una domanda in difetto. Le imprese ottengono di poter ridurre i costi della sovraccapacità; i consumatori ottengono coupon d’acquisto, per merci e servizi, scontati fino all’80%. Il potere d’acquisto, si gonfia, l’ ottimismo trasale.
Gli outlet fanno soldi nella città dei saldi, dove le imprese, sovraccapaci, smerciano l’invenduto per recuperare margini di guadagno. Con gli sconti si salda il conto con l’ottimismo di chi fa la spesa.
Ecco, rifocillando il potere d’acquisto si può ripartire: con la spesa viene trasformata la merce in ricchezza; il consumo dell’acquistato fa ri-produrre, crea occupazione, dà continuità al ciclo produttivo e sostanza alla crescita. Un tal rifocillo conviene, a tutti!