La disgregazione europea continua: non si tratta di una crisi. Il concetto di crisi è troppo legato all’universo cognitivo economico per permetterci di comprendere ciò che sta accadendo. Il pilota automatico della Bce, della Commissione europea e del dominio tedesco-teutonico-nordico sempre meno efficacemente contrastato dagli Usa, sta portando l’Europa a una sorta di contrazione dei suoi confini proprio quando, con il “cosiddetto allargamento”, pareva che essi si ampliassero. Questa sorta di contrazione dell’Europa è determinata dal mutamento di pesi e rilevanze culturali, prima ancora che economiche, che si è verificato nell’ultimo decennio e che si riverbera nella circolazione delle elites parassitarie che occupano posizioni di comando al vertice della tecnostruttura non legittimata di Bruxelles e di Strasburgo.
Questo cambiamento dei pesi e delle rilevanze, per cui i paesi ex-comunisti e la Germania, unitamente a quelli scandinavi, acquistano sempre più potere fa sì, fra l’altro, che i temi del Baltico e del confronto con la Russia via via emergano in prima evidenza. Senonché questa evidenza non implica capacità di risolvere efficacemente le questioni. Macroscopica prova è la crisi ucraina che è certo una crisi di confronto diplomatico e militare con la Russia, ma è anche una profonda crisi economica e sociale dell’Ucraina stessa che si avvia a una vera e propria crisi economica senza fine.
Il potere degli oligarchi, un tempo in relazione con la Russia, si confronta con inaudita violenza con gli oligarchi che mantengono legami strutturali con l’Europa e che quindi ora si protendono a spartirsi le risorse un tempo possedute dai primi. Ma questa lotta non fa che aggravare la situazione ed è la vera causa, a mio parere, del non avanzamento dei negoziati per la pacificazione dell’area. Del resto la Russia ha già annesso a sé la Crimea senza colpo ferire e senza che l’Ue sia mai stata in grado di sviluppare qualsivoglia azione diplomatica per difendere l’integrità dei confini di una nazione che si dice pronta a essere annessa alla stessa Ue. Una situazione che, se non fosse tragica per le morti e le sofferenze che comporta, sarebbe comica perché è la prova appunto di quel disfacimento profondo a cui facevo cenno poc’anzi.
In questo contesto si cala la situazione greca. Sgombriamo il campo dagli equivoci e dai paraventi mistificatori. Tutte le nazioni europee non appartenenti al blocco teutonico-germanico-nordico avrebbero già trovato una soluzione, accettando in forma mitigata le proposte di Syriza e di fatto annullando il debito greco, creando in tal modo precedenti favorevoli a se stesse perché tutte hanno già avuto o avranno bisogno di un allentamento dei vincoli di Maastricht che si rivelano sempre più insostenibili a mantenersi. La vera partita si gioca tra Grecia e Germania. E quindi, come ci ricordava Otto Hintze, come popolo unito da comunità di destino.
Se guardiamo alla storia e all’attualità di oggi, con questo concetto, viviamo il tragico disfacimento di questa comunità di destino. Era già avvenuto con il nazismo in forma demoniaca, come aveva ben compreso Pio XI nella “Mit brennender Sorge” e accade di nuovo ora in forma tecnocratica nichilista. E nessuno se ne cura. Ma pensiamo alla storia della cultura tedesca. Nei suoi momenti più alti è consustanziale a quella greca. Cito solo qualche nome che i non incolti collocheranno nella storia dello spirito: Winckelmann, Heine, Goethe, Schiller, Hölderlin, Wagner, Stefan George, Friedrich Nietzsche, Thomas Mann, Gert Mattenklott e via dicendo.
L’unità della Germania con la Grecia è consustanziale alla cultura tedesca ed è questa unità che pare oggi dimenticata, distrutta da un ordoliberalismus che dimentica addirittura le radici cristiane di quell’orribile meccanismo ideologico ed economico. Esso nasceva, infatti, nella loro mente, per non veder più sorgere i mostri dell’iperinflazione e del nazismo e di quello spirito demoniaco di potenza tedesca contro il quale si erano immolati. Oggi, in una tragica eterogenesi dei fini, quell’ideologia diventa strumento di potenza che annichilisce i popoli in un nuovo spirito di dominio fortunatamente per ora ancora non armato.
In questi giorni, in queste ore, giungono da Atene notizie e voci contrastanti: riunioni del governo, sostituzione di Varoufakis, referendum sull’euro, ecc. Forme di terrorismo mediatico, dietro alle quali c’è solo la modificazione del team dei negoziatori e le difficoltà innegabili di un governo costretto a rastrellare risorse da ogni dove per rispettare delle scadenze di pagamento che, messe tutte assieme, sono poco più di qualche centinaio di stipendi e di bonus di manager stockoptionisti.
Ma c’è di più. Lo spirito demoniaco diventa dileggio, addirittura, quando si discute di forme alternative che potrebbero ritardare – perché di questo si tratta – l’uscita della Grecia dall’euro. Mi riferisco al piano B che viene agitato dai seguaci di Schäuble nel loro delirio punitivo luterano dove il debito equivale alla colpa e quindi si è dannati. Il famoso piano B prevederebbe che, in assenza di rifinanziamento da parte della Bce delle banche e dello Stato greco, in qualsivoglia tecnica diavoleria questo si possa realizzare, la Grecia possa continuare a usare l’euro solo per gli scambi con l’estero mentre per gli scambi interni si dovrebbe dar vita a una o più monete locali.
Subito si scatena il dileggio. Si rimemorano i patacones argentini, ossia unità di conto locali o provinciali o nazionali emesse sia da entità private sia dalle stesse banche che, come in Grecia, sarebbero chiuse ai depositanti, ben sorvegliate dall’esercito, depositanti che non potrebbero prelevare che poche centinaia di euro al mese, mentre ogni genere di pagamento pubblico sarebbe sospeso o fortemente diminuito, dagli stipendi alle fatture. Ma tutto questo dileggiare è frutto della tremenda ignoranza di chi dileggia perché dimentica che queste forme di pagamento sono tecnicamente descritte nella teoria degli intermediari finanziari e sono state largamente applicate non solo in Argentina, che del resto è Paese nobilissimo nonostante la signora Kirchner, ma anche nel Massachusetts o in California una ventina d’anni orsono in occasione di default di quegli stati nordamericani che da soli sono ben più potenti della Grecia che conta solo il 2% del Pil europeo.
Esperienza delle monete locali o alternative che del resto è sempre più diffusa, avendo esse anche assunto, per esempio, un peso rilevante in città europee come la francese Nimes. Quindi non ci sarebbe nulla di scandaloso se strumenti siffatti fossero usati anche in Grecia.
Il problema è però tutto culturale, quale che sia il piano che la nazione tedesca vorrà imporre alla Grecia, essa, e con essa l’Europa tutta, ha già perso la sua intima ed essenziale natura: quella di essere un’espressione organica e storica del destino europeo immaginato dai suoi padri fondatori. L’utopia di un’Europa unita nasceva per evitare una Terza guerra mondiale. La realtà di questa Europa odierna è quella di una nuova guerra economico-sociale. Guerra che, quale che sia il suo esito, exit o non exit della Grecia, o della Germania, dall’euro è una guerra in cui non solo si addensano nubi minacciose per la situazione sociale dell’Europa tutta, ma si mette in moto una sorta di movimento tellurico e sismico che sia economicamente che politicamente non sappiamo dove ci condurrà. Certo ci travolgerà tutti.