Nel 2014 la pressione fiscale in Italia è cresciuta dello 0,1%, raggiungendo il 43,5%. Ma soprattutto nel quarto trimestre dell’anno si è sforata quota 50 con il 50,3%. È quanto emerge dai dati sui conti economici della Pubblica amministrazione dell’Istat, secondo il cui bollettino nell’ultimo trimestre 2014 le uscite totali in rapporto al Pil hanno segnato il 57,6%, con un +2,6%. Le uscite in conto capitale sono aumentate del 6,6% e quelle correnti del 2,3%. Nel complesso del 2014, le uscite totali sono state pari a 51,1% del Pil. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Renzi aveva promesso che avrebbe tagliato le tasse. Come si spiega che invece siano ancora aumentate?
La manovra economica finora realizzata dal governo è stata puramente redistributiva a favore delle imprese. Nell’aspettativa di un miglioramento dei conti economici delle aziende, questo è l’impulso determinante per aumentare la domanda di lavoro e l’occupazione. Ciò è avvenuto a parità di pressione fiscale che nel frattempo aveva raggiunto un livello decisamente preoccupante. Nel quarto trimestre 2014 la pressione fiscale ha nuovamente sfondato il 50%, il che significa che l’impatto economico delle tredicesime sull’offerta delle imprese è ormai ridotto al lumicino.
La spesa pubblica continua ad aumentare. Dove possiamo andare a tagliare e quanto?
La spending review è cosa buona e giusta se si tratta di rendere la spesa più efficiente e di indirizzarla alla crescita e a chi ha più bisogno. Nell’attuale situazione gli spunti sulla crescita sono scarsi, i grandi aggregati sono rimasti più o meno invariati, salvo le prestazioni sociali in denaro e le altre uscite in conto capitale. Occorre ridurre ed eliminare le situazioni di privilegio, perché hanno un impatto economico significativo, ma soprattutto comportano un impatto sociale enormemente più rilevante perché è demotivante come quando un dipendente che si merita un aumento se lo vede negato.
Che cosa è necessario fare?
È fondamentale la razionalizzazione della spesa intesa come modo per rendere più efficiente la qualità della spesa stessa, perché per esempio i tempi di attesa negli ospedali si riducano. Allo stesso modo è indispensabile aumentare gli investimenti pubblici, eppure questi ultimi sono diminuiti di 3 miliardi di euro in un anno e di 10 miliardi dal 2011. Se vogliamo intervenire sulla spesa pubblica il nostro faro non deve essere la riduzione bensì l’efficienza: può essere vero che spendiamo male, ma non spendiamo in modo esagerato. Dobbiamo spendere meglio e soprattutto in direzione della crescita, perché è solo attraverso di essa che i problemi del nostro Paese possono essere risolti.
Quali privilegi in particolare ritiene che vadano eliminati?
Ciò che è emerso secondo modalità che hanno lasciato senza parole l’opinione pubblica è la diffusione a macchia d’olio del problema della corruzione. È un problema epidemico, molto di più di quanto si potesse ritenere fino a qualche tempo fa, come appare evidente dalla quantità di casi che si sono aperti nell’ultimo anno. Quando si parla di corruzione si parla di denaro che va a beneficio di persone od oligarchie di potere che non le hanno meritate. Una persona normale non vede certo di buon grado un ingiustificato arricchimento di questo tipo, cui non corrisponde un merito privato o pubblico.
Tra i privilegi su cui intervenire ci sono anche quelli delle Regioni a statuto speciale?
Le Regioni a statuto speciale non sono tutte uguali e ognuna è privilegiata a suo modo. In alcune di queste Regioni i privilegi sono clamorosi ed è su questi che bisogna intervenire. Questa situazione però denuncia un problema più profondo di democrazia.
In che senso?
L’Italia sta sperimentando il fatto che non si riescono a sanare questi squilibri se non con interventi che siano legati a situazioni di emergenza e di crisi. L’unico beneficio della crisi potrebbe essere quello di obbligare a prendere provvedimenti che con condizioni normali non sarebbero mai presi. Eppure quello cui stiamo assistendo oggi è che nemmeno la crisi è sufficiente. Ma soprattutto se per avere una spesa pubblica efficiente dobbiamo avere una crisi epocale di queste dimensioni significa che il nostro sistema democratico ha qualche problema.
(Pietro Vernizzi)