Come noto, ormai è caduto il velo sul fatto che dopo la fusione tra Fiat e Chrysler il gruppo automobilistico che ne è nato dovrà affrontare una nuova aggregazione. In questa direzione sono arrivate anche le recenti dichiarazioni di Sergio Marchionne, con tanto di “nomi e cognomi” sui possibili partner di Fiat Chrysler Automobiles. Al di là di chi sarà poi effettivamente il prescelto, è interessante fare alcune annotazioni sui tre nomi al centro dei rumors: Volkswagen, General Motors e Ford.



Si dice, infatti, che a volte per capire cosa accadrà in futuro occorra dare uno sguardo al passato. E c’è da dire che in questo caso le sorprese non mancano. Chrysler ha già infatti alle spalle una fusione con un gruppo tedesco. Non si tratta di Volkswagen ma di Daimler, tanto per intenderci quello che possiede Mercedes. L’operazione venne compiuta nel 1998 e si trattò di una “merger of equals” (cioè una fusione alla pari). Tuttavia DaimlerChrysler era una società di diritto tedesco e aveva sede a Stoccarda. 



Il tentativo di creare un colosso globale dell’auto fallì però nell’arco di pochi anni e nel 2007 Chrysler passò sotto il controllo del fondo americano Cerberus e di altri investitori che sognavano di rinverdire i fasti del marchio Usa. Sappiamo tutti che dopo un solo anno il sogno si infranse contro la realtà di una tremenda crisi finanziaria, aprendo poi le porte all’ingresso di Fiat nel capitale della più piccola delle tre “sorelle” di Detroit. Insomma, gli americani non hanno avuto una buona esperienza coi tedeschi.

E sempre a proposito di brutte esperienze e di “sorelle” di Detroit, non si può dimenticare che General Motors e Fiat nel 2000 siglarono una “mega-alleanza”: l’azienda americana acquistava il 20% del Lingotto, che in cambio diventava il primo azionista di GM con il 5,15%. All’azienda italiana veniva inoltre riconosciuto un diritto di opzione (put) per cedere agli americani il restante 80% a partire dal 2004. 



Tuttavia già nel 2002 cominciarono le “scaramucce”: GM svalutò la partecipazione in Fiat, mentre il Lingotto cedette la sua quota del gruppo americano a Merrill Lynch. Poi al centro delle discussioni tra le due società passò l’opzione put: dapprima si decise di rinviarne l’esercizio di un anno, poi nel 2005 si giunse al “divorzio” con gli americani che pagarono 1,55 miliardi di euro pur di non comprare l’80% di Fiat. Va notato che alla guida del Lingotto c’era da un anno un tal Sergio Marchionne, che si mise quindi già in luce con un’operazione capace portare liquidi freschi nelle casse dell’azienda. Possiamo quindi dire che GM ha già preso una bella “scottatura” quando ha avuto a che fare con Fiat.

Non resta quindi che parlare di Ford, per ricordare due episodi. Il primo, e più noto, riguarda l’offerta fatta nel 1986 all’Iri (guidata da Romano Prodi) per l’acquisto di Alfa Romeo, che finì invece inglobata in Fiat (senza dimenticare che il Biscione da diverso tempo stuzzica gli appetiti di Volkswagen). Un’operazione che nel 2010 fu definita un “errore storico” da Luca Cordero di Montezemolo, allora ancora Presidente della Ferrari. E forse in virtù di tale carica era a conoscenza del secondo episodio riguardante Ford: la corte serrata che nei primi anni ’60 Henry Ford II fece a Enzo Ferrari per entrare nel capitale del Cavallino rampante. Nel ’63 l’industriale americano venne persino a Maranello a incontrare di persona il Drake, che però fece sfumare l’affare. Sei anni dopo, tuttavia, diede il via libera alla cessione del 50% di Ferrari al Lingotto. Insomma, Ford è rimasta già due volte a bocca asciutta su affari conclusi poi da Fiat. Difficile dire se l’esito sarà stavolta diverso. 

Comunque vada, chiunque sia il “partner” di Fca, due cose sembrano certe: Fiat sarà sempre meno italiana e gli Agnelli riusciranno a far cassa. Dove sta, potrà quindi dire qualcuno, la novità?