Dopo avere letto le 72 pagine di Executive Summary stilate da Carlo Cottarelli in persona e le 721 dei rapporti dei gruppi di lavoro all’uopo istituiti, non mi sorprende che la spending review abbia fatto cilecca. C’è stato senza dubbio un clash culturale tra chi comunica per hasthag e tweet e chi è uso a presentare analisi dettagliate. Come hanno rilevato altri (tra cui economisti vicini al Governo), c’è una notevole disomogeneità tra i rapporti, che coprono investimenti pubblici, organizzazione della Pubblica amministrazione, costi della politica, acquisti di beni e servizi, immobili pubblici, pubblico impiego, partecipate locali, fabbisogni e costi standard, province, comuni, regioni più nove ministeri (sviluppo economico, infrastrutture, economia, difesa, sanità, giustizia, lavoro, esteri, interno).
La differenza di stile tra la relazione riassuntiva e il resto della documentazione rende difficile seguire il ragionamento e individuare le priorità. Ciò ha fatto sì che i lavori siano stati se non “secretati” almeno chiusi a quattro mandate nel cassetto, perché poco se ne comprendeva l’utilità. Se io avessi fatto parte dell’organo politico a cui le circa 800 pagine erano dirette, non avrei saputo cosa fare e cosa scegliere.
Il nodo di fondo, però, è che si avverte una mancanza di metodo. Carlo Cottarelli è un ottimo economista e uno specialista di alto livello di Scienza delle finanze, ma non credo abbia mai avuto esperienza di selezionare spese tra essenziali, utili, meno utili e dannose. È un lavoro che non richiede un vasto numero di team settoriali, almeno nella prima fase, ma un metodo al tempo stesso forte e generalmente accettato. Cottarelli vive negli Stati Uniti; quindi, è certamente consapevole che dall’inizio degli anni Ottanta una sola delle norme introdotte dall’Amministrazione Reagan non è stata mai mutata o ritoccata: quella (insistentemente voluta dall’allora ministro del Bilancio David Stockman), secondo cui, da un lato, tutte le leggi di spesa sono a termine (e devono essere,se del caso, aggiornate ove riproposte alla scadenza) e tutte le norme e operazioni di spesa devono essere corredate da analisi dei costi e dei benefici finanziari (ai singoli) ed economici (alla collettività).
In Italia tale metodo è stato introdotto nel 1982 in via sperimentale per una piccola parte dell’investimento pubblico. Nel 1985 e nel 1991 l’allora ministero del Bilancio ha pubblicato, con il Poligrafico dello Stato, manuali, successivamente aggiornati dall’Uval (l’unità di valutazione che ha avuto differenti collocazioni istituzionali). Nel 2006, la Scuola Superiore della Pubblica amministrazione ha pubblicato un’aggiornata guida operativa, Nel 2012, il Cnel ha approvato un documento di osservazioni e proposte per aggiornare i parametri di valutazione a una fase di crescita lenta ove non di stagnazione. In parallelo con questa letteratura “ufficiale” c’è stato un rigoglio di testi privati anche a ragione delle attività dell’Associazione italiana di valutazione e della rivista e collana di libri pubblicati dal sodalizio. Dal 1999 una legge ricalca la normativa americana.
Esiste quindi, un metodo forte e diffuso: sino al 2008, quando ha la Scuola di Pubblica amministrazione (Snpa) ha deciso di non proseguire su questa linea. La Sna ha tenuto circa 300 corsi di formazione per funzionari e dirigenti a carattere sia polivalente che per settori specifici (beni culturali, istruzione, agricoltura, trasporti e via discorrendo). Dunque, c’è anche il personale formato, almeno nella metodica di base. In via sperimentale, poi, il ministero dell’Economia e delle Finanze, la Fondazione Ugo Bordini e altri hanno affrontato metodiche più avanzate.
Sembra che tutto questo capitale sia stato ignorato da Carlo Cottarelli e dai suoi collaboratori. Sarebbe stato sufficiente, in primo luogo, individuare quali amministrazioni adottavano il metodo (richiesto per legge) e quali non lo applicavano e, in secondo, fare un esame campionario con il supporto di un piccolo gruppo di specialisti (Uval, personale della Ragioneria Generale dello Stato) per individuare in poche mesi quali spese ridurre.
C’è da augurarsi che questa esperienza sia utile a chi verrà incaricato di continuare il lavoro. Il problema esiste. Non può essere eluso.