Il pareggio di bilancio dell’Italia potrebbe essere rinviato al 2018. Ieri, nella conferenza stampa dopo il Consiglio dei Ministri, Padoan ha spiegato che il deficit sarà pari al 2,6% del Pil per l’anno in corso, per scendere poi all’1,8% nel 2016 e allo 0,8% nel 2017. Cifre in linea con le stime precedenti, che tuttavia sono state criticate dalla Commissione europea con le previsioni di autunno, secondo cui il pareggio di bilancio strutturale potrebbe non arrivare tra due anni. Non sarà quindi semplice liberarsi delle clausole di salvaguardia. In attesa che ci sia l’approvazione del testo del Def, abbiamo chiesto un commento ad Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara.
Secondo lei Renzi potrebbe arrivare a rinviare il pareggio di bilancio?
Sì, potrebbe chiedere un allentamento di questa regola insensata per un motivo sostanzialmente propagandistico, in quanto in vista delle elezioni regionali ha bisogno di far vedere che l’Europa gli dà qualcosa. Le stime di crescita del Pil da parte del governo sono del resto abbastanza fragili. Allentare i vincoli di bilancio significa mettere le mani avanti rispetto all’ipotesi che il Pil non cresca, e che quindi le variabili fiscali di bilancio rispetto al Pil possano esplodere.
È dai tempi di Tremonti che l’Italia insegue il pareggio di bilancio senza raggiungerlo. Quale senso ha questo obiettivo?
Da un punto di vista macroeconomico il pareggio di bilancio non ha nessun significato. Non esiste nessun modello che preveda che regole di questo tipo siano ottimali. È una richiesta imposta all’Italia e agli altri Paesi del Sud dal blocco degli Stati settentrionali dell’Eurozona. Questi ultimi hanno un interesse strategico molto evidente a soffermare l’attenzione sulle dinamiche di debito pubblico, perché noi stiamo vivendo una crisi che in realtà è determinata dalle dinamiche della loro finanza privata.
Ma la colpa non è del fatto che i cittadini del Sud Europa sono tutti fannulloni?
Se fosse vero che italiani, greci e spagnoli sono così fannulloni, sarebbero stati molto stupidi i francesi e i tedeschi a prestare loro così tanti soldi. In realtà, la vera radice del problema sono le dinamiche della finanza privata e in particolare la scarsa attenzione delle banche del Nord. È per questo che i paesi settentrionali continuano a riportare l’attenzione sul pareggio di bilancio: vogliono così evitare di affrontare i veri problemi.
Perché l’Italia non ha ancora raggiunto il pareggio di bilancio?
L’Italia non ha raggiunto l’obiettivo del pareggio di bilancio perché le politiche di austerità sono state controproducenti. Poiché hanno depresso la domanda, cioè la capacità di spesa delle famiglie, nei fatti hanno compromesso sia il gettito fiscale che lo stesso reddito complessivo degli italiani. A sostegno di questo approccio ideologico sbagliato abbiamo avuto studi di illustri autori come Alesina e Giavazzi.
Qual era la loro tesi?
Sostenevano addirittura che grazie ai tagli i redditi degli italiani sarebbero aumentati. La loro idea era che se lo Stato avesse tolto dalle tasche dei segretari e delle impiegate 300 euro al mese, questi avrebbero cominciato a spendere di più perché sarebbero stati contenti di non dover pagare più tasse in futuro. Nella realtà le cose non sono andate e non potevano andare così, e ogni volta che è stata tagliata la spesa il Pil è diminuito in proporzione maggiore.
Perché l’Europa continua a insistere su questo pareggio di bilancio che non produce risultati?
La scelta di questi obiettivi totalmente insensati ha una storia e un’evoluzione. È però una storia e un’evoluzione che risponde esclusivamente a logiche politiche e non economiche. C’è chi sostiene che questi obiettivi siano stati disegnati per tener fuori i Paesi meridionali dell’Eurozona. Più realisticamente, quando è scoppiata la crisi questi paletti sono serviti alla politica per imporre ai paesi debitori misure che avevano l’obiettivo di contribuire a togliere loro risorse ai singoli Stati debitori. Queste somme di denaro attraverso i vari Fondi salva-Stati sono state poi utilizzate per salvare la finanza privata dei vari paesi creditori.
(Pietro Vernizzi)