Nei prossimi giorni saranno più chiari i dettagli sia della bozza di legge finanziaria 2016 (Def), che verrà approvata in autunno dopo la valutazione della Commissione europea, sia del Progetto nazionale di riforme (Pnr), anch’esso da sottoporre all’approvazione dell’Ue. Tuttavia, già ora è visibile la logica di fondo che ispira il governo: la priorità non è la crescita, ma mantenere inalterata la spesa pubblica, limandola solo quel tanto che serve per mantenere l’equilibrio di bilancio richiesto dalle regole europee. 



Non si può dire che il governo non voglia tagliare le tasse, ma nelle sue dichiarazioni appare che lo farà solo se avanzerà qualcosa: prova, appunto, che non sente la priorità di attuare uno stimolo fiscale forte. Né si può dire che il governo non voglia ridurre gli sprechi in alcuni settori. Ma si deve annotare che le risorse così liberate saranno impiegate per aumentare la spesa pubblica in altri. 



Come definire questo riformismo? È chiaramente un tentativo di rendere sostenibile e compatibile con le regole europee il modello “tassa e spendi” tipico della sinistra che cerca un’armonizzazione tra Stato e mercato, seguendo le soluzioni già sperimentate dal pragmatismo di Clinton, Blair e Schroeder. Da un lato, è positivo che la sinistra italiana tenti questa modernizzazione pur in ritardo di decenni, ma considerando che la sinistra francese ancora non vuole farla. Dall’altro, va annotato in base a evidenti dati tecnici che tale riformismo non sarà sufficiente per rimettere l’Italia sul binario di una crescita economica capace di ridare lavoro a chi lo ha perso e ai giovani, nonché di rendere sostenibile l’enorme debito pubblico, riducendolo. 



Questo scenario è stato enfatizzato recentemente dal Wall Street Journal: un’Italia a bassa crescita prospettica e alto debito è una mina per l’Eurozona molto più della Grecia. Bocciatura del governo? Non è posizione politica, ma semplice analisi della realtà: nel 2014 la pressione fiscale e la disoccupazione sono aumentate e oggi mostrano che non scenderanno granché nel 2015. 

Il governo promette che non aumenterà l’Iva, ma non che ridurrà la pressione fiscale complessiva. In conclusione, il pur rimarchevole attivismo del governo sta ritardando, ma non invertendo, il destino di implosione dell’Italia. 

Alternative? Con un taglio di spesa e tasse attorno ai 90 miliardi (in tre anni) l’Italia volerebbe, in particolare se lo iniziasse mentre è in atto il megastimolo monetario della Bce che amplificherebbe moltissimo quello fiscale per la crescita. Ma non è questo il progetto del governo. 

 

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