Il nuovo pasticcio brutto creato dalla Ue in tema delle cosiddette “tasse differite” delle banche italiane – al solito – sembra ultra-tecnico. Ma ha una spessa sostanza finanziaria alla vigilia delle assemblee di bilancio delle grandi banche italiane; ed è ultra-politico, sia all’interno che all’esterno dei confini italiani, allorché il governo Renzi si è appena misurato con il Def, cioè con un budget 2016 “senza tagli e senza tasse” da sottopporre al vaglio di Bruxelles.



La Commissione avrebbe invece chiesto proprio in questi giorni chiarimenti ai quattri “paesi periferici” (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) sul trattamento fiscale delle imposte anticipate nei bilanci bancari: voci che – secondo i principi contabili internazionali – possono essere considerate “crediti fiscali” e collocati fra le attività patrimoniali. L’applicazione teorica, “da manuale”, li concepisce nella situazione ordinaria di redditività delle banche, stabilità dei mercati e reale armonizzazione delle normative tributarie fra paesi-membri della Ue finanziari. Quando le banche producono utili possono utilizzare i cosiddetti “deferred tax assets” per compensare debiti fiscali e contributivi che via via maturino verso l’Erario.



Non è la situazione in cui si sono trovate le banche italiane in prima linea sotto l’urto del super-spread alla fine del 2011. È stato allora – lo ha ricordato ieri sera l’Abi in una nota di “sorpresa e preoccupazione” – che il Parlamento italiano “ha modificato il regime delle Dta consentendo in specifici casi quale, ad esempio, il verificarsi di una perdita fiscale (con l’impossibilità quindi di recuperare una parte delle imposte pagate anticipatamente) una quota parte delle Dta sia convertita in credito di imposta e dunque in una posta che può essere compensata (con altri debiti fiscali o contributivi) o anche ceduta”. Questo – in ogni caso – a lato di un altro intervento correttivo del 2013: il taglio da diciotto anni a cinque anni del periodo di svalutazione delle perdite su credti, riducendo il problema sia di generazione delle Dta sia di disallineamento fiscale rispetto a tutti gli altri paesi europei”.



Da un lato, dunque, banche in perdita per ragioni “eccezionali” (l’attacco speculativo al debito italiano, su cui fra l’altro ha indagato la Procura di Trani); dall’altro lato, una fase progressiva di cambiamento e armonizzazione delle norme fiscali sull’ammortamento delle perdite su crediti. È fra questi paletti che la Ue alimenta ora il sospetto di aiuti di Stato, riaprendo ferite in realtà mai rimarginate, neppure minimamente: i “rossi” di bilancio (ve ne sono anche in alcuni consuntivi 2014, fra pochi giorni all’esame delle assemblee) sono reali o indotti artatamente da fattori esterni, addirittura da regole Ue o internazionali discriminatorie?

In questo caso la spirale che gli economisti definiscono “pro-ciclica” si avvolgerebbe ancor di più, allungando ulteriori ombre sui conti del credito in Italia. Una volta di più, sarà curioso non meno che preoccupante osservare la reazione del governo: contando sempre che a decidere sia la politica (cioè i ministri competenti) e non l’Agenzia delle Entrate: che deve applicare le norme decise dal governo italiano, non decidere le norme che aumentano il gettito a qualsiasi costo. Anche quello di colpire alle spalle le banche domestiche, già prese a pugni da Eba, Bce, Basilea 3.