“Il governo non esclude che sia possibile indicare un tasso di crescita più elevato che offrirebbe margini più ampi per la riduzione della pressione fiscale”. È quanto si afferma nella bozza del Def esaminata nel consiglio dei ministri. “Non ci sono tagli e non c’è un aumento delle tasse. Capisco che non ci siate abituati, ma è così”, ha spiegato il presidente del consiglio, Matteo Renzi, durante la conferenza stampa. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Nel Def non ci saranno né tagli, né aumenti di tasse. Possiamo essere soddisfatti?
Mi sembra che questa affermazione sia dubbia ed è contraddetta dallo stesso piano del governo. Il mancato aumento di tasse di cui parlano Renzi e Padoan è un concetto illusorio. La loro promessa è che non sarà aumentata l’aliquota dell’Iva e che non saranno introdotti nuovi tributi. Hanno però in programma di accorpare Tasi e Imu, e in questa operazione sarà lasciata ai Comuni la scelta tra le aliquote massime e minime.
Con quali conseguenze?
Riducendo i trasferimenti agli enti locali questi ultimi saranno obbligati ad aumentare i loro tributi e qualora non lo abbiano già fatto anche le addizionali Irpef comunali, provinciali e regionali. Tra gli elementi di copertura previsti dal governo c’è la riduzione degli esoneri detti anche spese fiscali, con il disboscamento delle agevolazioni Iva. Le aliquote Iva possono quindi non aumentare, ma la pressione tributaria crescerà ugualmente. Con l’aggravante che non si sa quali deduzioni saranno eliminate, in quanto caratteristica del governo Renzi è fare dichiarazioni illusionistiche e poi tenere comportamenti opachi.
Il governo ha annunciato che le clausole di salvaguardia non scatteranno grazie a una maggiore crescita e a una minore spesa per interessi. Non la ritiene una posizione rischiosa?
Il risparmio di spesa per interessi ci sarà sicuramente grazie alla manovra della Bce. La maggiore crescita è invece una presa in giro, perché il governo non si basa su una ripresa vera e propria. Il +0,7% previsto dal governo è calcolato rispetto al 2014 quando era stato registrato un -0,5%. Nel biennio c’è quindi una crescita netta dello 0,2%. Nel frattempo quest’anno la crescita europea è stimata pari all’1,3%, quella della Spagna al 2,4%, mentre l’Italia cresce pochissimo. Il motivo è che una politica fiscale non può essere considerata espansiva fino a quando sono tagliati gli investimenti, sono aumentate le tasse sugli immobili e sono eliminate alcune agevolazioni fiscali.
Quindi non è affatto detto che le clausole di salvaguardia non scatteranno?
La clausola di salvaguardia potrebbe anche scattare, lo ritengo però un fatto estremamente improbabile. La crescita del Pil va sommata infatti agli effetti monetari, dal momento che c’è un po’ di inflazione in più rispetto al previsto, con la riduzione del cambio dell’euro che controbilancia la diminuzione del prezzo del petrolio. Di fatto nell’Eurozona finiamo per pagare il petrolio il 10%, e lo stesso vale anche per altre materie prime d’importazione.
E quindi?
L’aumento del Pil monetario sarà maggiore non soltanto rispetto all’aumento dell’indice dei prezzi, ma anche rispetto allo 0,7% previsto dal governo. Ritengo per questo improbabile che le clausole di salvaguardia scattino, perché anche se il Pil crescesse soltanto dello 0,3/0,4%, il tasso d’inflazione lo porterebbe comunque sopra l’1%. Aumenta inoltre l’Iva sulle importazioni. Questo governo nonostante tutti i suoi errori può quindi beneficiare di un margine ampio.
Il governo prevede il pareggio di bilancio al 2017. Con quali effetti?
La politica espansiva di cui parla il governo prevede in realtà una riduzione degli investimenti, e mai una riduzione di imposte come per esempio quelle sulla casa. La politica di Renzi è tesa a favorire fin che può la base elettorale, ma a lasciare l’intreccio tra enti locali ed organismi collaterali al partito come le cooperative. Manca una politica di crescita dovrebbe basarsi invece sulla libertà di mercato, sulla riduzione delle imposte sul risparmio e su una politica di investimenti.
(Pietro Vernizzi)