La sentenza della Consulta sul blocco dell’indicizzazione delle pensioni finisce al centro delle raccomandazioni della Commissione Ue all’Italia. Bruxelles chiederà agli Stati di ridurre i debiti pubblici eccessivi e di favorire l’occupazione, ribadendo la possibilità per il nostro Paese di attuare una correzione strutturale pari allo 0,1% del Pil anziché dello 0,5%. Sembra comunque che l’Italia possa finire sotto “monitoraggio”. Intanto tra le ipotesi per saldare ai pensionati la somma che lo Stato deve loro dopo la sentenza della Corte costituzionale c’è quella della rateizzazione. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università di Milano-Bicocca.
Professore, che cosa ne pensa dell’ipotesi di un rimborso rateizzato ai pensionati?
La rateizzazione crea comunque problemi di cassa. Lo Stato dà i soldi in parte l’anno prossimo anziché nel 2014, ma la contabilizzazione non può essere differita in quanto è una spesa di parte corrente della PA.
Quale può essere quindi la soluzione?
La soluzione migliore potrebbe essere quella di ricontabilizzare la spesa a ritroso. La sentenza ha infatti effetti retroattivi, e quindi lo Stato dovrà pagare degli arretrati, ma può contabilizzarli nel 2012, 2013 e 2014. Spalmata sugli anni questa somma finisce per incidere di meno sul deficit. Il deficit aggiuntivo sarebbe pari allo 0,1% nel 2012 (1,8miliardi) e allo 0,2% nel 2013, 2014, e 2015 (pari a 3 miliardi). È una percentuale che comunque si nota, ma è pur sempre meglio che metterlo tutto insieme nell’anno corrente.
Che cosa può fare il governo per reperire le risorse?
Il governo può interpretare la sentenza della Corte costituzionale, secondo cui il blocco delle perequazioni scritto in quel modo non era costituzionale. Scritto in un altro modo il provvedimento sarebbe però legittimo. Il governo potrebbe quindi riscrivere la norma dentro la legge del 2011, in modo che sia compatibile con quanto deciso dalla Consulta. Si reinserirebbero cioè delle deindicizzazioni, però modulandole.
In che modo?
È illegittima la norma che toglie ogni indicizzazione per tutte le pensioni pari a tre volte il minimo. La si sostituisce con una norma che deindicizza meno, graduando per classi di assegno pensionistico. La sentenza della Consulta, che pure mi aveva lasciato molto perplesso, potrebbe essere considerata fondata solo per l’assenza di gradualità.
Se il blocco fosse mantenuto, pur riscrivendolo in un altro modo, i sindacati insorgerebbero?
E perché mai dovrebbero insorgere? La Corte costituzionale non ha detto che le pensioni non si toccano, ma che non lo si può fare in quel modo. Dal fatto che quella norma scritta in quel modo non vada bene, non si può desumere il fatto che qualsiasi manovra non vada bene. E poi pazienza se anche i sindacati dovessero insorgere. A essere in gioco non sono solo i diritti dei pensionati ma anche quelli dei lavoratori.
Perché?
Dal momento che il nostro è un sistema a ripartizione, non possiamo certo aumentare l’aliquota previdenziale, perché in questo modo si creerebbero nuovi disoccupati. L’aliquota contributiva in Italia è infatti tra le più alte al mondo. Il rischio è inoltre che in Corte costituzionale possano arrivare altri ricorsi, tali da compromettere altri pezzi di manovre fiscali passate, come per esempio il blocco degli stipendi dei dipendenti della PA. Lo Stato deve quindi cercare di fermare la falla aperta dalla sentenza della Corte costituzionale, o l’intera diga potrebbe crollare.
Resta però la questione dell’equità posta dalla Consulta…
È una questione posta in modo ben singolare. È come se noi credessimo che si possano affettare delle torte che non sono ancora state cucinate, sperando che domani qualcuno le prepari. Stiamo cioè distribuendo torte prese a prestito dalle generazioni future. Se però mettiamo aliquote contributive o di fiscalità generale che sono troppo alte, nessuno vorrà produrre queste torte.
E quindi?
Quello pensionistico è quindi un sistema a ripartizione di risorse immaginarie. Se noi ci limitassimo a ripartire le risorse prelevate con la contribuzione dell’Inps, le pensioni dovrebbero essere molto più basse. Mi chiedo quindi quanto sia corretto, dal punto di vista dell’equità, consumare oggi cose che obbligheremo i giovani a produrre domani. D’altra parte, e forse è questo il vero problema, i contribuenti di domani che oggi non sono ancora contribuenti non possono ricorrere alla Corte costituzionale.
(Pietro Vernizzi)