Non c’è fine alle sorprese europee. Prima che iniziassero i colloqui dell’Eurogruppo, il leader dell’intransigenza Schauble ha pronunciato queste terribili parole: “Non ci sarebbe nulla di male se si proclamasse un referendum in Grecia sui negoziati in corso”. Naturalmente c’è da rimanere allibiti. Cameron ha vinto e le borse hanno respirato di sollievo perché temevano le ricette economiche di Miliband, ma certo sono ancora in fibrillazione perché il leader conservatore non ha smentito, anzi ha sottolineato imperativamente che il referendum sull’Europa si farà. Se si incrociassero veramente queste due pericolose traiettorie che possono deflagrare come missili sul fragile equilibrio tecnocratico a bassissimo gradiente di legittimazione dell’Europa, la costruzione politica prima che economica di quest’ultima sarebbe posta a grave rischio.
Si incrocerebbero minacce pericolosissime e di cui in verità tutti i protagonisti della vita economica e politica non solo europea vorrebbero volentieri fare a meno. E tutto ciò mentre la signora Merkel visita la Russia che ha in questi giorni ricevuto come nazione un’offesa incredibilmente impolitica e diplomaticamente sciocca con l’assenza dei principali capi di stato alla cerimonia per i 70 anni della vittoria sul nazismo.
Dato che nessuno dei policy maker, tranne i funzionari greci, si attendeva qualcosa di positivo e definitivo dall’Eurogruppo, è forse meglio osservare quale sarà il futuro della Grecia dentro il limbo in cui è entrata nelle ultime settimane. Delle due l’una: o il governo di Alexis Tsipras raggiunge un accordo su un terzo piano di salvataggio con il Brussels Group oppure il Paese dovrà dichiararsi insolvente entro breve. E la decisione è puramente politica. Del resto il Brussels Group è l’antica troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Commissione Ue) con l’aggiunta dell’European Stability Mechanism (l’Esm).
Il problema del debito pubblico greco è economicamente insormontabile. Il governo Tsipras vuole ricreare la domanda effettiva e quindi riassume i dipendenti pubblici licenziati ai tempi dei precedenti esecutivi conservatori anche se non ci sono i soldi in cassa. Troika o non troika l’Esm vorrebbe imporre la continuità dei licenziamenti. E questa alternativa tra le due politiche economiche viene afferrata a chiare lettere dalle stesse cuspidi del potere finanziarie. Sentite cosa dicono: “Il radicalismo di Tsipras è una decisione politica chiara, perché non può tornare in patria e rischiare di perdere il consenso”, scrive in una nota ai clienti istituzionali lo gnomo della banca statunitense Goldman Sachs.
E non parliamo della polemica sulle pensioni:il Brussels Group ha domandato alla Grecia di rendere “più sostenibile” nel lungo periodo il sistema previdenziale. E non si chiede solo di riparare ai guasti innegabili e alle ingiustizie contenute nelle baby pensioni, nelle pensioni d’oro per parlamentari e dirigenti pubblici, ma si attaccano anche i sistemi retributivi e contributivi.
La via è giunta a un bivio. Da un lato, un terzo piano di sostegno finanziario che di fatto rinegozia e via via allunga sino a cancellare il debito pubblico greco come già si ha sentore nel continuo rifinanziamento delle banche greche da parte della Bce di cui Draghi si è fatto carico con coraggio indubbio, fatto che mi ha stupito. Dall’altro lato, un percorso verso l’insolvenza del Paese.
A me pare che la comunità finanziaria propenda per questa via lasciando isolati i tedeschi. Ma questa via non sopporterebbe anche il referendum di Cameron. La comunità finanziaria teme come la peste l’uscita del Regno Unito dall’Ue perché questo significherebbe la fuga di tutti gli operatori verso Wall Street per la perdita ch’essi avrebbero della possibilità di guadagnare sul mercato europeo, che è immenso e profittevolissimo nonostante la crisi da deflazione, anzi per certi versi proprio per questo.