Va bene, Pier Carlo Padoan ha vinto la scommessa: la ripresa sta arrivando davvero. Gufi di tutta Italia, nascondetevi. Anzi, dovremmo dire nascondiamoci perché anche noi abbiamo dubitato a lungo. Per la verità, non siamo del tutto convinti che l’economia italiana viaggi sicura verso una crescita dell’1%. Sarebbe prudente attendere almeno i dati del secondo trimestre. Tuttavia questa settimana è arrivata una vera e propria pioggia di buone notizie, a cominciare dall’aumento dei contratti a tempo indeterminato, passando per i buoni risultati che emergono dai bilanci delle imprese in quasi tutti i settori (la macchia nera resta l’edilizia dove il tonfo è stato più profondo e probabilmente duraturo), mentre l’Istat ha sfornato un aumento del prodotto lordo dello 0,3% che non è molto rispetto alla Francia (+0,6%) o alla Spagna (+0,9%), ma è pur sempre superiore alle aspettative. La Germania rallenta (solo +0,3%) il che è male per il nostro export, però è uscita dalla crisi prima e meglio degli altri.
Dunque, fa bene Padoan a insistere che la nave va e viaggia a un ritmo persino superiore alle attese. Matteo Renzi ha detto che tre decimali non lo soddisfano, ma il ministro dell’Economia si trincera dietro un “wait and see” pronunciato con un sorriso sornione. Del resto, la sua esperienza, la sua dottrina, gli anni trascorsi tra il Fondo monetario e l’Ocse dove si macinano statistiche da colazione al dopocena, gli hanno conferito l’autorevolezza per sentenziare sulla congiuntura. Ma allora che cos’è che non quadra?
Prendiamo l’occupazione. Tito Boeri, parlando sia da economista che da presidente dell’Inps sostiene che è troppo presto per giudicare se si stanno creando posti di lavoro nuovi di zecca in grado di far scendere la disoccupazione, oppure se siamo di fronte a contratti sostitutivi, spinti dagli incentivi pubblici. Sia chiaro, è positivo che la precarietà venga ridotta; ha ragione Renzi a sottolinearlo. Tuttavia l’occupazione segue la ripresa, ma non con lo stesso ritmo.
Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione si è dimezzato e il Paese si sta avvicinando al pieno impiego, soprattutto grazie al traino della crescita. La Germania ha utilizzato politiche attive del lavoro che ruotano attorno all’Agenzia per l’impiego. In Italia la crescita, pur nel migliore dei casi, resterà inferiore a quella americana e a quella tedesca; mentre le politiche attive stentano, l’agenzia non decolla, e il lavoro resta scarso. Così, il tasso di disoccupazione non scenderà sotto dieci punti almeno fino al 2019.
Altro punto debole: gli investimenti. Lo si vede anche dai dati Istat. C’è un qualche risveglio della domanda interna dovuto a una stabilizzazione del mercato del lavoro e a un aumento del reddito disponibile grazie alla discesa dei prezzi (gli effetti degli 80 euro sono ancora minimi dopo essere stati nulli l’anno scorso). Ma non si può parlare di una ripresa trainata da un sano e sostenuto ritorno del mercato domestico.
La svalutazione dell’euro e il crollo del prezzo del petrolio restano i fattori dominanti che hanno mosso la congiuntura europea mentre, come ha ricordato Mario Draghi al Fondo monetario internazionale, “le famiglie e le imprese sono molto esitanti ad assumere rischi economici. Per questo ci vorrà diverso tempo prima che possiamo dichiarare vittoria”.
Dunque, lo stimolo di politica monetaria della Bce “continuerà per tutto il tempo necessario al raggiungimento del nostro obiettivo”, cioè una crescita dei prezzi al consumo vicina al 2%: vivremo ancora a lungo sotto l’effetto della droga.
La deflazione, del resto, non è affatto vinta, i prezzi nell’area euro sono attorno alla zero e anche negli Usa prevalgono spinte deflazionistiche come dimostra l’ultimo calo dei prezzi alla produzione. E ciò rischia di invertire le aspettative, aprendo la strada a una nuova fase di ristagno. Non sarà la “stagnazione secolare” paventata da Larry Summers, ma può diventare in ogni caso lunga e preoccupante.
La Bce e la Banca d’Italia manifestano anche un’altra preoccupazione: il credito bancario ristagna e ciò incide in modo determinante sulla stasi degli investimenti. È vero, anche qui ci sono i primi segnali positivi: dopo sei anni di caduta sono ricominciati i finanziamenti alle imprese. E qualcosa si muove anche nei mutui, nonostante il mercato immobiliare resti depresso. Tuttavia, secondo i banchieri centrali, è troppo poco e forse anche troppo tardi. La pioggia di moneta scesa da Francoforte, non è stata sufficiente: l’acqua abbonda, ma il cavallo non beve. Siamo ancora dentro la trappola della liquidità anche perché le banche, là dove si è scatenata la grande tempesta, non sono ancora tornate pienamente a fare il loro mestiere. Molte speranze in Italia sono riposte sulla bad bank alla quale affidare una buona parte dei crediti inesigibili. Tuttavia è un percorso a ostacoli: interni (cioè chi paga e quanto può dare il governo?) ed esterni (il rischio che l’Ue li consideri aiuti di Stato).
Quanto durerà la manna della Bce? Finora la strategia di politica economica ha seguito la massima cautela: mettiamo i motori al minimo e teniamo la barra dritta in modo da non finire tra gli scogli. Così, la motonave Italia ha varcato lo stretto, evitando Scilla e Cariddi, sospinta anche dal vento di Draghi. A mano a mano che il vascello entra in mare aperto, però, l’energia dovrà arrivare dall’interno. Il timoniere Padoan lo sa bene. Quanto a Renzi, adesso vorrebbe fare il fuochista e gli frulla in testa di trasformare la sentenza negativa della Consulta sulle pensioni in una occasione propizia.
L’idea è di proporre uno scambio: restituire il maltolto solo ai pensionati medio-bassi e preparare un alleggerimento fiscale anche per le partite Iva che sono state escluse dagli 80 euro. Un doppio segnale sociale e politico: l’uno per i ceti ai quali si rivolge la sinistra del Pd e l’altro per la tradizionale base elettorale leghista e berlusconiana.
Il capo del governo sa bene che non ha i soldi per fare quel che vorrebbe, ma c’è da scommettere che metterà sotto pressione il Tesoro, la Ragioneria e i suoi consulenti di palazzo Chigi pur di cavare il ragno dal buco. Per lui l’en plein politico, per il Paese la stampella che manca per dare alla ripresa una più solida base domestica. Forse non ci riuscirà, ma il pie’ veloce Renzi, ammaccato dagli insegnanti, assediato dalle lobby, boicottato dalla burocrazia pubblica, contestato ormai da tutti i sindacati, non può fare a meno di provarci.