Il ministro delle Finanze della Repubblica Ellenica, Yanis Varoufakis, non solamente è rimasto alla guida della delegazione greca nel confronto con “le istituzioni”, ma sta tentando una mossa inconsueta e arditissima: fare il “gioco delle tre carte” nei giorni e nelle ore che ci separano dalla prossima riunione del Consiglio della Banca centrale europea (Bce) in calendario per il 20 maggio, senza, però, avere titolo a essere lui a “passare” o “dare” le carte (come si dice in gergo) e quel che è più sorprendente senza neanche avere il possesso fisico delle carte. 



Gli è andata a buon fine una mossa analoga (ma non così temeraria e così, diciamo la verità, convoluta ove non cervellotica) quando il 12 maggio ha rimborsato 750 milioni di euro dovuti al Fondo monetario con risorse che appartenevano al Fmi (irritando non solo l’istituto finanziario con sede a Washington, ma anche le altre “istituzioni”). Ma allora l’operazione, che numerosi esperti hanno considerato “truffaldina’, era più semplice.



Occorre spiegare perché. Tutti gli Stati che fanno parte del Fmi versano solamente il 10% della loro quota di capitale al Fondo; il restante 90% appartiene, sotto il profilo scritturale e giuridico, al Fmi ma resta nelle casse della banca centrale o del Tesoro nazionale per ragioni di praticità (anche se il Fondo ha titolo di chiederne il versamento in ogni momento). In pratica, la banca centrale o il Tesoro nazionale sono unicamente la sede fisica dove il 90% della quota di capitale è collocata, ma la somma appartiene al Fondo e deve essere in una delle valute convertibili accettate dal Fmi. Prelevarne una parte per saldare un debito con il Fondo è come ripagare un creditore con una somma che appartiene al creditore medesimo. Dato che i soldi (euro, dollari, sterline o yen che siano) non hanno fiocchetti (per individuare a chi appartengono), si sa che i 750 milioni versati al Fondo erano di proprietà del Fondo solamente perché le casse della Banca centrale greca erano vuote (tranne che le quote depositate presso di esse in quanto capitale di istituzioni finanziarie internazionali).



Vale la pena sottolineare che, a fronte di un’operazione di questa natura da giudicare almeno scorretta, e degli insulti che Yanis Varoufakis rivolge a questo e quello (negli ultimi giorni uno dei suoi bersagli preferiti è stato Mario Draghi, chiamato lacchè della Cancelliera Angela Merkel), le “istituzioni” si sono comportate con grande signorilità: il 14 maggio, all’assemblea della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), è stata decisa una linea di credito di 500 milioni di euro l’anno sino al 2020 da destinare, però, non alle casse del Tesoro o della Banca nazionale greca, ma al finanziamento di progetti produttivi di imprese greche, soprattutto piccole e medie, sostenendo quindi una ripresa della produzione già in corso – i venti maggiori istituti previsionali internazionali stimano che nel 2015 l’indice della produzione industriale della Grecia (dopo essere andato a picco negli anni scorsi) segnerà un aumento del 5%.

A questo gesto di buona volontà e di chiara simpatia nei confronti delle forze positive dell’Ellade, Yanis Varoufakis ha risposto con una proposta convoluta, presentata il 14 maggio a una conferenza internazionale sul futuro della Grecia organizzata ad Atene dal settimanale The Economist. Riflettiamo sull’operazione, scorretta o fraudolenta che dir si voglia, con il Fmi del 12 maggio. Allora Varoufakis aveva le carte (essenziali per fare il gioco delle tre carte) in quanto i fondi per appartenenti al Fmi erano in suo possesso (in quanto detentore fiduciario). Quindi, la Grecia aveva le carte, anchee se non aveva titolo a utilizzarle e ancora meno a “dare la mano”. La nuova proposta è quella di fare uno swap quanto mai peculiare per rimborsare la Bce, guidata dal tanto deprecato Mario Draghi, dato che i 6,7 miliardi di debiti della Grecia nei confronti dell’istituto con sede a Francoforte scadono nel corso dell’estate.

Lo schema, convoluto come il gioco Dungeons and Dragons, prevede, in estrema sintesi, uno scambio tra obbligazioni che verrebbero emesse dal Tesoro greco con le risorse del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf), meglio noto come Fondo salva-Stati. In effetti un’operazione analoga alla vendita di Fontana di Trevi nel film Totòtruffa 62 di Camillo Mastrocinque rimesso in circolazione dal quotidiano Il Sole 24 Ore con i DVD dei vecchi lavori del napoletanissimo Principe di Bisanzio. In questo caso, non solo Atene non ha titolo a “dare le carte”, ma non ha neanche in mero deposito fiduciario le carte.

La Grecia non ha controllo sulle risorse dell’Efsf (di cui 30-40 miliardi sono dei contribuenti italiani – dieci volte quanto serve a colmare il “buco annunciato” previdenziale frutto di una misura da sempre considerala incostituzionale, non dai sentimenti “cinici e bari” della Consulta). Atene non ha titolo a effettuare swapconsiderati “spazzatura” dai mercati, anche se farebbero lucrare chi li detiene in caso di interventi dell’Efsf e di altri strumenti che evitino il default e impediscano il fallimento di un Paese che, come descritto in una corrispondenza da Atene del 16 maggio, sta andando a picco.

L’operazione farebbe lucrare i soliti noti. Tra cui numerosi che si professano marxisti. Bevendo ouzo omazbout nei tavolini della “città vecchia” di Atene.

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