Sulla carta il vertice europeo di Riga sarà dedicato al rapporto con i Paesi dell’Est. Ma l’agenda sarà complicata dall’emergenza della Grecia, ormai a un passo dal collasso. I numeri sono noti: Atene ha già dichiarato che, salvo l’arrivo di aiuti dall’Europa e dal Fondo monetario internzionale, il 5 giugno non sarà in grado di restituire la rata di debito dovuta al Fmi. Se salterà la rata, sarà inevitabile il default della Grecia, che già contende all’Argentina il poco invidiabile titolo di Paese dal collasso finanziario facile. Ma a differenza dei tracolli di Buenos Aires, quello di Atene avrebbe conseguenze politiche e finanziarie destinate a colpire l’intera comunità dell’Eurozona, perché il Paese deve, soprattutto ai partner europei, circa 325 miliardi di euro. L’esposizione verso l’Italia, tra prestiti bilaterali, quote di partecipazione italiane al Fondo salva-Stati e le quote nella Bce (a sua volta impegnata per più di 60 miliardi nei fondi Ela, ormai garantiti solo da titoli di Stato greci di dubbia solidità) e nel Fmi, ammonta a 40 miliardi circa.
Ma, al di là dei rovesci di natura finanziaria esiste un rischio politico anche maggiore: il Grexit sarebbe una sconfitta cocente per l’architettura finanziaria dell’eurozona. Il sistema si è rivelato, qualunque sia il giudizio sul comportamento di Atene, inefficace a gestire la prima seria crisi sul cammino della moneta unica. Se la Grecia avesse affrontato l’emergenza senza partecipare all’Ue se la sarebbe cavata probabilmente meglio.
Il Fondo monetario, come fa da più di mezzo secolo, avrebbe anticipato i quattrini necessari per rimettere in carreggiata l’economia, ma avrebbe anche contribuito a metter le premesse per una ripresa credibile. I creditori internazionali sarebbero stati chiamati a un “sacrificio” preliminare, senza eccezioni. Al contrario nell’Eurozona la crisi è stata senz’altro aggravata dalla richiesta dei creditori francesi e tedeschi di rientrare dei propri soldi prima di imporre un haircut ai creditori privati, una scelta che ha avuto pesanti conseguenze sulla credibilità dell’euro.
Il Fondo, com’è successo in altre occasioni, si sarebbe però anche preoccupato di elaborare, assieme ai responsabili locali, un piano per far ripartire l’economia, fatto di richieste precise ma anche di aperture di credito. La soluzione perseguita dall’Europa, al contrario, ha avuto al centro la preoccupazione di minimizzare a ogni costo l’esborso dei partner. Ne è scaturita una sorta di finzione finanziaria che non ha retto alla prova dei fatti.
Gli sherpa dell’Eurozona, oltre a quelli della Bce e del Fmi, hanno prima calcolato l’ammontare del debito greco, poi si sono messi al computer per calcolare il tasso di crescita necessario per ripagarli. Di qui un calcolo del tutto astratto sui surplus necessari per raggiungere l’obiettivo. Il risultato? La tabella di marcia si è rivelata un libro dei sogni, perché sotto la pressione dell’austerità interna imposta al Paese, la crescita è stata molto inferiore ai desiderata, quando non è stata negativa. Il percorso doveva essere l’opposto: calcolare realisticamente il tasso di crescita del Paese entro una cornice di interventi internazionali, di lì procedere a individuare il livello dei rimborsi che l’economia poteva sostenere. “Tutto quel che puoi restituire – sintetizza Wolfgang Munchau sul Financial Times – lo devi restituire. Il resto no, deve essere dimenticato”.
Una soluzione del genere è dura da digerire per la cultura tedesca, ove il vocabolo per indicare il debito è lo stesso che si usa per definire la colpa. Ma l’alternativa, come si vede in questi giorni, è di protrarre all’infinito una finzione scandita da interminabili e defatiganti negoziati che nascondono una realtà elementare: la Grecia non riuscirà mai a restituire i 325 miliardi che deve. L’unica soluzione razionale consiste nel tagliare una parte della zavorra che grava sul futuro di Atene in cambio di comportamenti credibili. Altrimenti , prima o poi, la corda si spezzerà.
Oppure si proseguirà, finché è possibile, con soluzioni un po’ ridicole e costose. Tipo prestare soldi sottobanco ad Atene perché restituisca i vecchi debiti sostituendoli con altri nuovi. A somma zero? No, peggio, perché nel frattempo la congiuntura economica peggiorerà anche perché, sul piano culturale, il Paese si arroccherà su posizioni sempre più difensive, ostili alla libera impresa e alla creazione di impieghi profittevoli.
È troppo sperare che il vertice di Riga aiuti a spezzare il circolo vizioso tra debitori pronti al “tanto peggio tanto meglio” e creditori che preferiscono pagare a fondo perduto pur di mantenere in vita una finzione insostenibile? Forse sì, ma non è inutile sperare, visto che l’opinione pubblica greca sembra decisa a difendere la partecipazione ellenica all’euro. Certo, è necessario che i cittadini greci si convincano che per partecipare a un’unione monetaria che passa per Berlino o Helsinki anche loro (come noi italiani) dovranno imparare a comportarsi un po’ come i tedeschi o i finlandesi. Ma l’Europa, che ha avuto il grave torto di ammettere Atene nell’eurozona grazie a trucchi contabili confidando in ricchi profitti derivanti dagli investimenti in Grecia (basti pensare ai finanziamenti per l’Olimpiade) deve collaborare a dare una prospettiva a un popolo stremato.
La quadratura del cerchio? Cancellare una parte del debito greco e così consentire al Paese di dedicare le risorse frutto dei sacrifici (che ci saranno ancora) solo al proprio sviluppo. Certo, nel prossimo futuro i rubinetti del credito internazionale dovrebbero restare chiusi. Atene se la dovrebbe cavare con le proprie forze o con le privatizzazioni. Ma, in cambio, il Paese riconquisterà la sovranità democratica che ha perso in questi anni.
L’Europa ci rimetterà quattrini che esistono solo sulla carta, ma garantirà ad Atene la presenza in una comunità ampia, in grado di assicurare libertà economica (e non solo) in cui avrà comunque un ruolo anche il partner ellenico. Guai se la Comunità lascerà per strada il socio debole. In quel caso altri problemi, per la verità più complessi e difficili (l’immigrazione dal Sud del mondo, i rapporti con Mosca e il centro Asia) avranno un impatto devastante su una comunità di coccio.