Il lungo incontro di giovedì sera a Riga tra Tsipras, la Merkel e Hollande, non ha prodotto alcun risultato. Renzi non c’era, anche se l’Italia è il terzo creditore, esposta per 40 miliardi di euro, quasi quanto la Francia (46 miliardi) e dopo la Germania (60 miliardi). Non è esattamente un gesto gentile, anche se nessuno è così ingenuo da non credere che contano i rapporti di forza e sul piano europeo la forza italiana è davvero flebile. A guidare la danza è ancora una volta la Germania con un gioco delle parti tra la Cancelliera ferma, ma conciliante, e il cerbero ministro delle finanze. Wolfgang Schäuble ha lanciato due siluri non da poco nei giorni scorsi: al Wall Street Journal ha detto che non si può più escludere un default della Grecia; mentre secondo l’agenzia Bloomberg il ministro ritiene possibile che Atene possa adottare una moneta parallela all’euro. Ieri l’indiscrezione è stata smentita, ma è chiaro che ci sono ipotesi concrete su come organizzare un’unione monetaria a due velocità. 



Può darsi che tutto questo faccia parte del braccio di ferro in corso e serva a mettere il governo greco con le spalle al muro. Anche perché la trattativa non è più economica, ma decisamente politica. Nessuno ormai nega che la Grecia avrà bisogno di un nuovo piano di salvataggio, però l’Ue vuole che venga negoziato solo dopo che Tsipras avrà accettato le regole, a cominciare dal rispetto delle scadenze precedenti. Schäuble sa che l’unico modo di far ingoiare il rospo al Parlamento tedesco è una vera e propria dichiarazione di resa da parte di Tsipras e compagni, cioè l’accettazione del piano di riforme già proposto dalle “tre istituzioni” (Ue, Bce e Fmi, la trojka sotto altro nome). Una condizione difficile da accettare per gli uomini di Syriza. Ecco perché tutti si stanno già preparando al peggio, a cominciare da Mario Draghi.



La Bce ha annunciato a sorpresa che aumenterà gli acquisti di titoli di stato nelle prossime settimane. Benoit Coeuré, membro del direttorio, lo ha detto lunedì sera a Londra spiegandolo con un fattore tecnico: a luglio e ad agosto i mercati sono fiacchi, tutti stanno in vacanza e ci sono meno titoli in circolazione, ciò rischia di indebolire l’efficacia del Quantitative easing. Una giustificazione sensata, ma che fa pensare a una scusa per cautelarsi da un eventuale default del debito greco. Anche perché sui mercati si segnala una preoccupante mancanza di liquidità dovuta in gran parte alle banche che si liberano di titoli pubblici per paura di un effetto domino innescato da Atene, nonostante solo il 16% del debito greco sia in mano ai privati. 



I volumi si sono ristretti soprattutto sul mercato secondario, invece l’acquisto diretto di titoli fila ancora liscio. Ma il rischio è che si produca una scarsità di capitale nel momento in cui ce ne sarà gran bisogno per stabilizzare i mercati. Anche per questo, dunque, la Bce ha deciso di muoversi in anticipo e mettere fieno in cascina. Se le banche non fanno più il mercato, toccherà alla banca centrale trasformarsi da arbitro in giocatore.

Insomma, i segnali che le cose volgono al peggio si moltiplicano. Anche se prevale la convinzione che nessuno voglia tirare la corda fino a spezzarla, la storia insegna che basta un piccolo incidente di percorso per far precipitare una situazione intrinsecamente squilibrata. La crisi greca del resto si trascina da cinque anni senza che si sia trovata una soluzione e nessuno, dai politici ai banchieri, nasconde una sensazione di impotente rassegnazione. Quando prevale l’ostinazione, quando l’orgoglio fa premio sul calcolo razionale dei costi e dei benefici reciproci, spesso non c’è davvero via d’uscita.

Il ministro Padoan, in un’intervista alla Repubblica, si è detto preoccupato per le conseguenze di un default greco sull’Italia. La ripresa è appena cominciata, i conti pubblici si muovono ai limiti del consentito dall’Ue, mentre incidenti di percorso come la sentenza della Consulta possono da un momento all’altro far saltare il precario aggiustamento. Una nuova ondata speculativa sui titoli pubblici non risparmierebbe certo quelli italiani visto l’ammontare del debito pubblico; non solo il rapporto più o meno significativo con il prodotto lordo, ma, quel che davvero conta, la quantità di bond in circolazione: 1.600 miliardi con una vita media di quasi 7 anni e un costo pari a circa 80 miliardi l’anno. 

La discesa dei tassi ha consentito risparmi attorno ai 6 miliardi che possono volatilizzarsi nello spazio di un mattino perché un default greco aprirebbe di nuovo la guerra dello spread. È questo cambiamento nelle aspettative che Padoan teme più di ogni altra cosa, anche perché la valutazione delle agenzie di rating non è cambiata, nonostante le parole di elogio sulle riforme. È che i loro effetti si vedranno nei prossimi anni, mentre i mercati lavorano a breve, anzi a brevissimo. E oggi i titoli italiani sono ancora valutati poco più che “spazzatura”. Fuor di metafora vuol dire che bisogna pagare un premio al rischio ancora elevato. 

C’è un modo per mettersi al riparo? C’è uno scudo contro la tempesta magnetica che può scatenarsi da Atene? Francamente no, non potendo più muovere autonomamente i tassi d’interesse. La politica monetaria sta a Francoforte e toccherà a Draghi azionare il timone. Quanto alla politica fiscale, ogni manovra di allentamento (riducendo le tasse) rischia di aggravare il debito, ogni restrizione fa crollare la domanda interna. Non resta che sperare nel buon senso di Tsipras, nella pazienza della Merkel e nell’astuzia di Draghi. Sarebbe bello poter dire basta, la Grecia vada a ramengo. Sarebbe un gesto liberatorio. Ma durerebbe giusto il tempo di un sospiro. 

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