O si fa sul serio un’unione monetaria ed economica, con modelli nazionali riformati da una regia europea per diventare efficienti e convergenti, oppure l’euro salterà. Questa è la sintesi del messaggio dato da Draghi nel seminario di Sintra (Portogallo). Da anni Draghi preme sugli eurogoverni affinché diano la giusta architettura politica all’area monetaria enfatizzando i problemi della sua assenza.



Rimarchevole, per inciso, il linguaggio usato da Draghi in un seminario a Londra l’anno scorso: per un’Europa delle sovranità condivise. Lo annotai perché nelle mie ricerche perseguo un modello simile delle sovranità convergenti (in “Europa oltre”) per comporre un’Eurozona che non può, perché Francia e Germania non vogliono, diventare una confederazione, ma nemmeno restare un vago aggregato di nazioni.



Il punto: un’area monetaria richiede una certa omogeneità di condizioni economiche nelle sue parti. Nei sistemi confederali tale omogeneità viene cercata attraverso una politica centrale di bilanciamento degli squilibri. Se il modello confederale non è applicabile, allora l’omogeneità richiede la convergenza di ogni nazione verso modelli economici simili ed efficienti. Se non ci si riesce, allora la moneta unica diviene vulnerabile alla diversità delle situazioni e salta.

Come mai Draghi ha enfatizzato ora questo tema aggiungendo in modi sfidanti che un banchiere centrale ha il pieno diritto di interferire con la politica, pressandola? Tra i motivi c’è il problema che lo stimolo monetario della Bce in atto appare depotenziato sia dall’assenza di stimoli fiscali da parte dei governi, sia da modelli economici nazionali che per rigidità, da intendersi come eccesso di protezionismo sociale, impediscono la trasmissione dello stimolo monetario stesso all’economia reale, compromettendo la ripresa.



In sintesi, l’indisponibilità dei governi per riforme convergenti pro-mercato impedisce alla politica monetaria di fare il suo mestiere. Ma, con rispetto, segnalo a Draghi che questa situazione non potrà cambiare presto perché i governi sono condizionati da masse impoverite dalla crisi che chiedono più protezioni nazionali e non liberalizzazioni ed euroconvergenze.

Quindi, prima di affrontare il tema dell’efficienza e dell’euro-architettura, bisognerà ridurre l’irrazionalità dovuta all’ansia sociale ripristinando l’ottimismo. L’unica leva di ripresa ora disponibile è la svalutazione e pertanto la priorità della Bce è farla funzionare il più possibile e non quella di chiedere a governi spaventati cose che non possono fare. Triste doverlo scrivere, ma realistico il suggerirlo.

 

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