La fine degli accordi tra Alitalia e Air France-Klm, prevista dal 2017, chiude in maniera alquanto prevedibile un’era che si aprì successivamente alla debacle di Malpensa e che sembrava aver raggiunto il culmine nel 2008, quando le organizzazioni sindacali in primis rifiutarono la cessione dell’allora compagnia di bandiera ai transalpini per cadere nelle braccia di AirOne e dei cosiddetti “capitani coraggiosi” di berlusconiana memoria.
Se si fosse approfittato di quell’occasione di certo non si sarebbero visti i licenziamenti di tantissimi lavoratori (che sono continuati fino a poco tempo fa), visto che le circa 1500 uscite previste dal piano Air France erano molte di meno delle 10.000 del 2009 con Cai e delle circa 3.000 successive e l’Italia si sarebbe risparmiata circa una decina di miliardi di euro, dato che tutte le spese sarebbero state a carico dei transalpini e lo Stato avrebbe incassato pure una bella cifra per la vendita del vettore. Invece siamo stati capaci di ripetere il disastrosissimo 1998 (anno della fallimentare apertura dello scalo varesino, della rottura con Klm e delle sanzioni dell’Ue nei riguardi di Alitalia) e ancora una volta dobbiamo ringraziare la politica per aver ripetuto quello che sembrava a tutti gli effetti un vero miracolo: riuscire a produrre un deficit tale da competere con la gestione pubblica.
La serie di errori strategici e di mancanza di cultura industriale del settore occorsi in questi anni è già stata ampiamente descritta: ora è il momento di voltare pagina e di lasciar perdere l’idea di avere un vettore italiano nei cieli. Come successo nel campo della progettazione e costruzione aeronautica nel dopoguerra, l’Italia ha perso anche quel filo che la legava a questo settore sfasciando gran parte di un know-how ampiamente invidiatoci all’estero. Ora il tutto si impara ad Abu Dhabi, dove gli equipaggi si recano per i corsi: è un segno del cambiamento dei tempi e c’è da dire che anche l’uscita dell’ex Alitalia dall’alleanza con Klm e Air France costituisce l’ultimo capitolo di una storia che però non poteva che relegarci, com’è stato fatto in questi anni, a un ruolo ancellare, non certo di primo piano, anche se europeo.
Proprio per questo bene ha fatto l’Ad Cassano a decidere di non rinnovare un contratto che si sapeva svantaggioso e, lo ripeto, a voltare pagina, in modo da portare avanti pienamente le strategie previste, che sono le stesse del 1998: rafforzamento del lungo raggio per tentare di recuperare il traffico perduto o ceduto alla compagnia franco-olandese in questi anni e iniziare a costruire un vettore globale.
Sinceramente non so se poi a una compagnia come Alitalia converrà addirittura rimanere nell’alleanza Skyteam dove il colosso Air France-Klm ha un peso preponderante rispetto agli altri vettori presenti: in questo pare delinearsi una guerra commerciale che di certo dipenderà moltissimo dalla dimensione che i nuovi padroni di Alitalia vorranno dare alla compagnia. Perché finché si decide di rimanere a un certo livello e quindi essere un vettore basicamente di lungo raggio ma con una rete non molto differente da quella progettata attualmente, allora non ci saranno problemi di “convivenza” all’interno del Vecchio Continente, ma quando si dovesse assistere a un potenziamento strutturale veramente notevole, ciò, con le risorse cospicue in mano al vettore Etihad e al target che si vuole dare di compagnia “a 5 stelle”, unito a quello che sicuramente la nuova dirigenza saprà prendere dallo stile italiano, costituirà non solo una carta vincente, ma creerà diversi problemi di concorrenza che potrebbero portare la nuova Al-Italia ad affrontare situazioni molto simili al progetto del 1998 dettato dall’allora Ad Cempella e mirante, attraverso una intelligentissima alleanza con Klm e all’apertura dell’hub di Malpensa, alla creazione della più grande compagnia aerea europea.
Quel progetto fallì, lo sappiamo, non solo per le forti resistenze dell’Ue e dei principali vettori europei, per i quali il mercato italiano costituiva la più grossa fonte di entrate dopo quello nazionale, ma anche e sopratutto per la politica italiana che non seppe assolutamente costruire un “Sistema paese” con i risultati che tutt’oggi viviamo. Almeno quest’Alitalia clientelare e schiava delle politiche partitarie di turno, l’Alitalia dei “Lei non sa chi sono io” ce la siamo definitivamente tolta di mezzo. Ed è questo l’unico motivo di felicità in mezzo all’immensa tristezza di quanto il nostro Paese ha perduto.