Impegnati come siamo nel seguire le manovre da denuncia per insider trading (o turbativa dei mercati) del governo greco, rischiamo di perderci ciò che di davvero interessante sta accadendo in Europa: perché la Spagna sta chiedendo ufficialmente un cambio di statuto alla Bce, affinché adotti in pieno il modello Fed? Cosa sanno – o temono – a Madrid per arrivare a una scelta simile, di fatto in grado di spaccare ulteriormente gli equilibri già fragili dell’Unione?
Stando a una lista di proposte del governo iberico pubblicata dal quotidiano El Pais, l’esecutivo di Mariano Rajoy vorrebbe che l’Eurotower espandesse il suo ruolo al fine di prevenire pericolosi sbilanciamenti all’interno dell’unione valutaria. Di più, Madrid chiede alle autorità dell’eurozona di adottare un budget comune per utilizzarlo in caso di salvataggi di emergenza e di emettere debito nella forma di eurobonds. Insomma, una rivoluzione assoluta che non solo vedrà la Germania pronta ad alzare le barricate, ma soprattutto che richiederà la revisione dei Trattati, altro totem per Berlino che sta già lottando contro le richieste britanniche di rinegoziare la partecipazione all’Unione attraverso gli opt-outs.
Sottolineando l’esposizione potenziale dell’Europa a «shock asimmetrici», la bozza spagnola chiede un cambio netto nel mandato della Bce, auspicando che la Banca centrale adotti strumenti atti a prevenire l’aumento dei livelli di debito e il peggioramento ulteriore del dato occupazionale. «La direzione della politica monetaria della valuta unica è stata inadeguata per certi partner negli anni recenti. È stata eccessivamente espansionistica in certe nazioni e ha creato le condizioni che hanno favorito l’eccessivo indebitamento e l’accumulazione di sbilanciamenti», si legge nel documento iberico all’Ue. Insomma, Madrid vuole da subito una Bce in stile Fed, ovvero con un duplice mandato che includa anche l’obiettivo del tasso occupazionale: non a caso, Madrid ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile tra i 19 membri, oltre il 50%.
Ma come, fino alla scorsa settimana, quando è uscito il dato sul Pil del primo trimestre di quest’anno, la Spagna era il modello da seguire, il campione della ripresa e ora, di colpo, arriva a chiedere unilateralmente una rivoluzione di questa portata? Cosa succede a Madrid? Due cose, ma che si sostanziano essenzialmente in una: la nuova ondata di crisi sta arrivando e Madrid sa di aver non solo truccato i conti, ma creato una cortina fumogena che verrà spazzata via al primo refolo di reale reazione dei mercati.
Al netto del Qe della Bce in atto, infatti, la tensione greca ha spedito nuovamente gli spread dei Paesi cosiddetti periferici sull’ottovolante, con buona pace di chi pensava che il “bazooka” di Mario Draghi sarebbe stata la risposta a tutti i problemi. Ma c’è di più. Ricordate che lunedì è stata la giornata nera per gli spread dei cosiddetti Piigs, ma qualcuno ha patito più degli altri, come ci mostra questo grafico: il Portogallo ha visto il suo benchmark decennale schiantarsi letteralmente al suolo a livello di trade reale, non come percezione rispetto a un mercato illiquido. Sintomo che il Paese soffre e, nonostante sia uscito dal programma di salvataggio, non sarebbe di grado di camminare con le proprie gambe in caso di una nuova ondata di crisi.
E qual è la nazione con maggiore esposizione e interconnessione economica e finanziaria con il Portogallo? Esatto, la Spagna. La quale, casualmente, subito dopo il trionfo di Podemos, fa arrivare prima all’Ue e poi a El Pais la bozza della sua proposta rivoluzionaria, di fatto una Bce con compiti di unione fiscale e mutualizzazione del debito al fine di schermare tutte le criticità nazionali in vista di un nuovo terremoto.
C’è però anche un altro motivo che ha mosso Madrid verso questa direzione, non direttamente legato alle dinamiche obbligazionarie sovrane degli ultimi giorni. A inizio maggio, infatti, sono usciti i dati riguardanti il surplus di conto corrente della Germania, contenuti nelle previsioni di primavera della Commissione europea: siamo al massimo record dell’era moderna del 7,9% del Pil e l’anno prossimo resterà al 7,7%. Completamente fuori controllo, la Germania è a oggi il più grande, singolo peccatore dell’Unione, violando tutte le regole di stabilità: ma si tratta dei padroni, quindi possono. E, visto che i Trattati europei non verranno rinforzati, né implementati in tal senso, non rischiano nemmeno sanzioni.
È passato un anno da quando Bruxelles disse a Berlino di “fare i compiti a casa”, ovvero di cominciare a spendere a livello interno quei soldi e non accumularli, ma ovviamente i tedeschi se ne sono bellamente fregati: questo è il quinto anno di fila che la Germania presenta un surplus sopra il livello massimo del 6% del Pil. E non si tratta di uno shock una tantum, quello tedesco è un abuso strutturale, visto che il dato rimane alto anche se aggiustato ai più bassi costi energetici: parliamoci chiaro, una dinamica simile rende ingestibile l’unione monetaria e si presenta come una minaccia ben più grave del problema del debito greco.
Perché l’Ue non tratta il surplus tedesco come ha trattato in passato i deficit dei Paesi del Sud, visto che rappresenta una minaccia comparabile alla stabilità dell’eurozona? Il tasso di disoccupazione tedesco è ai minimi post-riunificazione del 4,7% ma gli sbilanciamenti della politica tedesca hanno portato alla paradossale situazione che quasi piena occupazione non ha stimolato la crescita dei consumi. Di più, lo stesso Fmi disse chiaramente lo scorso anno – quando il surplus tedesco era all’8,25% se bilanciato al ciclo – che quel dato era tra i 3 e 6 punti percentuali superiore a quanto non solo desiderabile ma anche giustificato dai fondamentali e che il tasso di cambio tedesco era sottovalutato di almeno il 18% in base alla teoria dell’elasticità del commercio e questo ben prima che l’euro cominciasse a deprezzarsi verso il dollaro.
Strizzando le dinamiche salariali nei primi anni dell’unione valutaria, la Germania ha spiazzato e messo in fuorigioco tutti gli altri membri, quelli del Sud in testa, finiti non a caso tra il 2011 e il 2014 in una spirale quasi deflazionaria. D’altronde, è la stessa struttura regolatoria e fiscale tedesca che favorisce produzione ed export a discapito dei consumi: Berlino potrebbe tranquillamente tagliare le tasse per i redditi più bassi e ridurre l’Iva, non lo fa per scelta, nonostante ci sarebbe più di motivo fiscalmente intelligente per farlo.
Due dati, tanto per farvi capire di cosa stiamo parlando: gli investimenti in Germania dall’inizio degli anni Novanta sono scesi dal 23% al 17% del Pil e gli investimenti pubblici netti sono stati negativi per 12 anni. Insomma, il surplus tedesco è alle radici del problema Nord-Sud dell’eurozona e se al tempo del marco questo non contava, oggi sta inviando continui e sempre più letali shock di sbilanciamento all’interno dell’Unione. Di fatto, sotto alla Macro Imbalanced Procedure l’eurozona potrebbe ordinare alla Germania di presentare un piano d’azione per tagliare il suo surplus e se Berlino non ottemperasse Bruxelles potrebbe obbligarla a depositare fino allo 0,1% del Pil (2,4 miliardi di euro) in un conto speciale che verrebbe sequestrato se l’inazione teutonica proseguisse.
Direte voi, non accadrà mai e se anche accadesse, meglio farsi sequestrare 2,4 miliardi e continuare a campare a spese degli altri che rimettere in discussione il modello di leadership economica. Forse Madrid, con la sua richiesta shock, sta inviando un messaggio cifrato a Berlino riguardo i suoi “peccati originali”?
Non lo eslcuderei, anzi penso sia proprio così. Attenzione poi, l’euro in continuo calo sul dollaro non ha nulla a che fare con la Grecia, state tranquilli: è ciò che si agita sotto la superficie che lo fa deprezzare, ovvero i sommovimenti che da Spagna a Italia ci dicono che o l’Europa cambia, subito o muore. Ma fatelo capire alla Merkel se ci riuscite. A meno che la fine dell’Ue non sia ciò che in realtà una Berlino, ormai in grado di camminare con le proprie gambe auspica sempre più. E sempre più in fretta.