Diciamolo chiaramente, viviamo in una bolla. Non è una bolla speculativa come molti temono (non ancora), ma è in ogni caso una situazione sospesa. La mongolfiera viene tenuta in alto dalla Bce grazie al Qe. Il programma funziona, e anche i segnali che vengono dai prezzi al consumo lo dimostrano: in Italia +0,2% a maggio; vedremo nei prossimi mesi se la deflazione è davvero scongiurata dopo un quadrimestre in continua discesa. Molto ha influito il calo dei prezzi energetici, ma sono in risalita anche i prezzi dei servizi, segno che si sta manifestando quella cauta ripresa della domanda della quale parla anche la Banca d’Italia. L’Istat conferma che il prodotto lordo è in risalita: +0,3% nel primo trimestre, +0,1% su base annua. 



L’effetto positivo della politica monetaria espansiva, secondo Bankitalia, è abbastanza netto: aggiunge al prodotto lordo italiano 1,4 punti in due anni, circa 20 miliardi di euro; ciò vuol dire che nel 2015 quasi tutta la crescita è dovuta alla spinta esterna. Il 2016 sconterà un effetto trascinamento, sperando che nel frattempo la tragicommedia greca non provochi un brusco arresto. Ma la politica monetaria ha spesso effetti paradossali: se si raggiunge un accordo con Atene rinviando di nuovo la resa dei conti, la tempesta s’allontana; in tal caso l’anno prossimo l’impulso della Bce si ridurrà e la mongolfiera comincerà a scendere. I banchieri centrali stanno manovrando perché ciò avvenga in modo soft e incrociano le dita. 



L’Italia dunque deve preparasi. Finora la politica economica è stata al traino della Bce. Adesso bisogna prendere l’iniziativa. I segnali dei quali parlano la Banca d’Italia e la Confindustria non sono sufficienti a garantire una tasso di crescita capace di recuperare i nove punti perduti e nemmeno a riportare la disoccupazione sotto la soglia del 10%. Sono considerazioni ovvie, sulle quali tutti si dicono d’accordo. Ma che fare? Dopo le elezioni regionali Renzi dovrà mettere in cantiere una fase due, una ripartenza. Come?

Nel documento inviato all’Ue e anticipato dal Foglio, il governo mette insieme una serie di buoni propositi, tutti all’insegna della politica dell’offerta: riforme, riforme e ancora riforme. Con l’obiettivo di ottenere se non il plauso almeno un occhio di riguardo da Bruxelles. Le riforme sono una condizione necessaria per una ripresa stabile (anche questo è un mantra recitato mille volte), ma non sono sufficienti. Lo dicono le agenzie di rating le quali, pur apprezzando le mosse renziane, non migliorano la valutazione sull’Italia, perché la scarsa crescita getta un’ombra lunga sulla capacità di far fronte ai propri impegni. E lo dice il Fmi che ieri è tornato a criticare i parametri di Maastricht, troppo rigidi e inattuali: il 3% di deficit e il 60% di debito rispetto al Pil sono stati concepiti per una crescita reale di tre punti e un’inflazione al 2% (l’obiettivo della Bce), ed è davvero difficile che condizioni del genere si realizzino nel prossimo futuro. 



Il Renzi due, dunque, deve cambiare marcia e forzare la crescita interna. C’è chi vorrebbe puntare sugli investimenti pubblici: è il refrain della Cgil, ma la musica suona dolce anche agli orecchi di una parte del governo e di molti industriali privati. Renzi scommette forte sulle reti a cominciare da quella telefonica in fibra ottica; cablare il Paese è importante, però richiede tanti quattrini e comunque non basterà. 

Il motore della macchina economica è l’investimento privato e l’effetto moltiplicatore ancor oggi più efficace viene dall’edilizia, proprio il ramo che ha sofferto di più. Tra dissesto idrogeologico e città devastate, l’Italia avrebbe bisogno di un grande progetto di ristrutturazione e rigenerazione del patrimonio, ci sono brutture da abbattere, case da costruire, quartieri da rifare, palazzi da rinnovare e grattacieli da erigere. Sarebbe logico, ma sentiamo già le obiezioni dei pentastellati, della sinistra radicale, dei giustizialisti per i quali costruttore è sinonimo di corruttore, e di tutti i seguaci della decrescita felice. Difficile che Renzi superi il muro dei no e in ogni caso non figura tra le sue priorità. 

Allora, non resta che mettere in cantiere una significativa riduzione delle tasse, abbassando la pressione fiscale complessiva, non con altri bonus. Può essere fatto, in modo graduale ma certo, nell’arco del prossimo triennio, tanto più approfittando della svolta nel ciclo congiunturale. E deve riguardare in modo equo l’insieme dei contribuenti, dalle imposte sul lavoro dipendente alle partite Iva. 

Non sarà facile trovare le risorse, tuttavia si può realizzare uno scambio tra meno tasse sui redditi e meno spesa pubblica (anche in questo caso, la ripresina aiuta). Sarebbe la risposta in avanti al grillino reddito di cittadinanza che, invece, aumenta il tasso di assistenzialismo. È un sentiero impervio e pieno di rovi, anche per questo è bene aprire subito il cantiere delle tasse.