Giovedì scorso, a seguito dell’anemico dato del Pil Usa per il primo trimestre, Goldman Sachs si è sentita in dovere di avanzare la sua prima previsione per la crescita economica aprile-giugno, cominciando la sua tracciatura con un +3,0%. Nelle stesse ore, arrivava il primo dato del GDPNow della Fed di Atlanta riferito al secondo trimestre, dopo aver chiuso la previsione sul primo a +0,1% contro il +0,2% del dato ufficiale del Bureau of Economic Analysis. Il primo grafico a fondo pagina vi mostra a che livello siamo oggi, prima della messe di dati macro che ci divide dal prossimo annuncio ufficiale: +0,9%, un livello recessivo. E vi spiego perché. Dando per scontato che il dato della Fed di Atlanta resti tale – e ne dubito – dobbiamo aspettarci una crescita economica per la prima metà del 2015 a 0,5%, dato che implica un fatto: qualsiasi lettura sotto il 4% di crescita del Pil nel secondo trimestre ci consegnerà la crescita economica statunitense più debole dal 2011 a oggi!



Ma c’è di più e questo è davvero preoccupante. Guardate il secondo grafico, ci mostra come all’interno del già deludente dato di aprile riguardo l’indice manifatturiero Pmi (54,1 contro attese di 54,2), a patire il calo peggiore sia stata la spesa per costruzioni, uno dei driver storici dell’economia Usa, scesa a -0,6% contro le attese di un +0,5%, la peggior lettura da aprile 2009. Bene, guardate il terzo e il quarto grafico. Il primo ci mostra il crollo del consenso rispetto alla crescita del secondo trimestre, stimato addirittura al 3,3%, e il secondo come, ad appena un’ora dalla pubblicazione del dato Pmi di aprile, il GDPNow della Fed di Atlanta avesse già abbassato la sua proiezione al +0,8%! Un decimo di punto percentuale con un solo dato macro deludente e nel primo giorno di maggio! Insomma, l’ennesima riprova che gli Usa sono in recessione.



Come chiamare un Paese beneficiato da un diluvio di denaro a costo zero da almeno sei anni che nel primo trimestre del 2015 conosce un Pil al +0,2%? Come vi ho già detto giovedì, poi, togliendo al computo il dato record delle scorte di magazzino, ovvero scontando un dato piatto rispetto al trimestre precedente, il Pil reale Usa nei primi tre mesi di quest’anno sarebbe stato del -2,5%. E che dire del deficit commerciale con il resto del pianeta, il vero killer della crescita Usa?

Già, perché assumendo i dati dell’ultimo trimestre, il peggioramento del deficit ha ridotto la crescita reale cumulativa dell’economia Usa del 7,99% dal secondo trimestre del 2009 a oggi. Ma c’è dell’altro, ovvero che stando a dati freschissimi del Bureau of Labor Statistics, una famiglia americana su cinque vive la triste realtà di avere tutti i suoi membri disoccupati. E questo dovrebbe farci riflettere sulla Fed, le sue proiezioni e sulla bontà dei dati che elabora: se il 20% delle famiglie americane è composto da tutti disoccupati, come fa il tasso di disoccupazione a restare placido da mesi al 5,5%?



E vogliamo parlare della classe media, il baluardo della società statunitense. Bene, sei anni di Qe e Wall Street a massimi ci regala quanto segue: il tasso di proprietà immobiliare è sceso ai minimi da 25 anni, ovvero il concetto di middle class è stato completamente disintegrato dalle politiche della Fed, di fatto arrivando al paradosso di aver innescato un processo di proletarizzazione del ceto medio a tutto vantaggio delle classi già privilegiate, come ci mostra il primo grafico a fondo pagina.

Se infatti crolla il numero di proprietari di casa, aumenta quello di proprietari di auto di lusso. La Maserati, infatti, sul mercato Usa è passata da meno di un migliaio di automobili vendute nel 2002 al record di quasi 13mila nel 2014, dubito grazie agli acquisti di famiglie monoreddito del Maryland o dell’Ohio e più facilmente di banchieri o broker di Wall Street, reali beneficiari del Qe.

E ancora, nel 2013 il 31% degli americani dichiarava di non aver intenzione di comprare un casa nel futuro prevedibile, mentre quest’anno il tasso è salito al 41%. E vogliamo parlare della bolla dei prestiti studenteschi? Stando a Bloomberg e alla Federal Reserve Bank of New York, solo il 37% degli studenti negli Usa con un mutuo scolastico è in pari con i pagamenti, tanto che Moody’s ha messo in guardia gli investitori rispetto alla possibilità concreta che possano dover attendere più del previsto per rivedere il loro denaro, visto che solo questo mese l’agenzia di rating potrebbe abbassare il ranking su 3 miliardi di dollari di debito top-rated proprio in vista del rallentamento nel pagamento del capitale e del non ricevimento di interessi. E stiamo parlando di un mercato da 1,2 triliardi di dollari, il cui eventuale fallout potrebbe propagarsi ovunque, dal mercato immobiliare alle spese personali.

E ancora, il gigante Procter&Gamble ha annunciato il taglio di 6mila posti di lavoro: sintomo che l’economia reale è in salute? McDonald’s, poi, ha annunciato un piano per la chiusura permanente di 700 punti vendita definiti “poco performanti” nel corso di quest’anno: chiudere ristoranti dove pranzi o ceni con 5 dollari è sintomo di salute dell’economia reale Usa? Stando a calcoli indipendenti, poi, le proiezioni parlano della chiusura o delle vendite del 50% delle compagnie di fracking legate al comparto shale entro la fine di quest’anno.

E le vendite al dettaglio? Mai calate così rapidamente come dall’ultima recessione, così come il dato di vendita wholesale, gli ordinativi industriali e il respingimento di nuove richieste di credito (tutte voci che ho documentato anche con grafici nelle scorse settimane). Infine, l’export Usa ha visto crescita negativa a causa del dollaro forte per la prima volta dall’ultima recessione, mentre il 61% degli americani sta vivendo “paycheck to paycheck”, ovvero vede il proprio salario completamente prosciugato dalle spese e non risparmia nulla o quasi. E infatti, l’assenza di crescita nell’introito personale negli Usa a marzo (5 previsioni fallite al ribasso delle ultime 7) ha portato il livello dei risparmi al minimo da inizio anno, passando dal 5,7% al 5,3% e andando a incidere a cascata sul dato su base mensile della spesa per beni durevoli e non durevoli, come ci mostra il secondo grafico.

 

 

Dubito ve ne siate accorti, visto che eravate intenti a leggere i dati, ma ho elencato 17 voci di criticità macro dell’economia Usa: e ho scelto solo quelle finora poco trattate negli articoli precedenti, altrimenti avrei potuto proseguire per almeno due puntate. L’America è in recessione e la colpa è del Qe e dei suoi devastanti effetti di manipolazione, mal-investment e sconnessione dalla realtà macro, ormai penso non ci siano più troppi dubbi al riguardo.

Ora guardate lo screenshot riportato a fondo pagina, è tratto dalle minute della riunione del Comitato monetario della Fed del dicembre 2008. A parlare è l’attuale numero uno della Federal Reserve, Janet Yellen, in risposta al discorso introduttivo dell’allora capo, Ben Bernanke: «Come il Giappone ha scoperto durante il suo programma di quantitative easing, incrementare il volume della base monetaria al di sopra dei livelli necessari per offrire ampia liquidità al sistema bancario non ha effetti economici percepibili, a parte quelli associati al comunicare l’impegno della Bank of Japan verso una politica di tassi di interesse a zero. Penso che il mio punto di vista in questo coincida con quello da lei espresso nei suoi commenti introduttivi, signor Presidente».

Insomma, nel 2008 l’allora governatore della Fed e quello attuale concordavano sul fatto che il Qe non servisse a nulla rispetto alla crescita e alla ripresa economica reale! Ma si sa, il tempo fa maturare le opinioni e infatti il nuovo advisor dell’hedge fund Citadel, lo stesso Ben Bernanke, si è espresso in questi termini intervistato dal Wall Street Journal rispetto a Qe e tassi a zero giovedì scorso: «Dove la politica monetaria può essere utile è nel supportare il ritorno a una piena occupazione e in questo caso il record passato è ragionevolmente buono. Sembra chiaro che le azioni aggressive della Fed siano una ragione importante che supporta la creazione di posti di lavoro negli Stati Uniti, la quale è migliore di quella di tutte le altre nazioni industrializzate con ampio margine». Insomma, per le stesse due persone nel 2008 il Qe non aveva effetti economici reali e percepibili, mentre nel 2015 è divenuto uno strumento potentissimo per la creazione di posti di lavoro. Che dire, siamo ormai a una patetica, finale e pericolosissima farsa.