La sentenza della Consulta è piombata come una mazzata sulla tranquilla supponenza governativa. Il disordine aumenta se guardiamo all’Europa. Bruxelles, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato la norma Fornero che bloccava la rivalutazione delle pensioni, ha sottolineato che “qualsiasi cosa cambi gli obiettivi di bilancio del documento di programmazione finanziaria dell’Italia devono essere rispettati”, ossia che la mordacchia dell’austerità non deve mai smorzarsi, sino a uccidere l’animale. 



In ogni caso la sentenza della Consulta e le sue conseguenze sul bilancio italiano, non essendo ancora state quantificate e definite in provvedimenti, non sono state prese in considerazione nelle previsioni economiche di primavera della Commissione Ue. Quindi si può dormire tranquilli. 

Del resto il buon Giuliano Cazzola, che di pensioni e di montismo se ne intende più di tutti noi, ha giustamente sottolineato, confermando la saggezza e l’esperienza dei vecchi sindacalisti e di coloro come il sottoscritto che dal sindacato (anche quando sbagliava e sbaglia) hanno imparato tanto, che la rivalutazione non è e non sarà mai automatica. Per far sì ch’essa scatti ci vorrà pur sempre una causa, contro l’Inps, e una sentenza. E con i tempi della magistratura italiana, allora, aggiungo io, il risultato economico della sentenza della Consulta non sarà mai e poi mai quantificabile. Quindi, valutare con i dati e le cifre richieste da Bruxelles a quanto ammonterà sul bilancio dello Stato italiano il recupero di quanto si perde con il blocco degli assegni superiori a tre volte il minimo (circa 1.400 euro al mese) sarà praticamente impossibile secondo tempi certi. 



Questo è il vero problema. La Corte, infatti, ha dichiarato sì illegittima la norma che blocca la rivalutazione, ma ha altresì lasciato margini all’iniziativa del governo, grazie a questo risultato che non sancisce l’automaticità dell’attuazione della norma. Questo nessuno lo ha sottolineato. ”Sulla questione della rivalutazione automatica delle pensioni – dice Cazzola – la Consulta ha lasciato dei margini di iniziativa al Governo, il quale può intervenire valutando con attenzione i provvedimenti da adottare, dal momento che non vi è alcun meccanismo di applicazione automatico della discutibile sentenza della Corte, la quale non ha cassato la norma nell’insieme, ma solo per la parte che riguarda le pensioni più basse”. 



Si scatena intanto la corsa alle ipotesi tese a trovare i denari per rimediare al torto, dimenticando spesso il problema nella sua integrità giuridica, come sempre ben inquadrato da Cazzola. Io mi limito a sottolineare come non si si capisca più nulla in merito agli interventi promossi dalla Ragioniera Generale dello Stato, che dovrebbe essere il guardiano non solo dell’ortodossia bruxelliana (anzi di quella dovrebbe tenerne conto solo seguendo le indicazioni del governo italiano, cosa che invece non fa essendo ormai una struttura di tecnici – si fa per dire – etero-comandati da una potenza sovranazionale non legittimata), ma dovrebbe altresì porre preventivamente il governo, qualsiasi governo, al riparo da incidenti di questo tipo. 

Siamo ormai al corrente dell’incapacità scritturale e cognitiva degli uffici legislativi delle due Camere, mente un tempo in quegli uffici sedevano grandi esperti di rito parlamentare che oggi non riusciamo neppure più a immaginare. Le responsabilità delle tecnostrutture, insomma, mi paiono enormi. E poi non si può sfuggire dalla considerazione che i governi dei tecnici, anzi il governo dei tecnici per eccellenza, continua a partorire in ritardo, ma pur sempre attivamente, mostri giuridici che confondono le sorti della vita di decine di migliaia, centinaia di migliaia, di persone. Dopo gli esodati, eccoci in questo pasticcio alla Fornero che, son convinto, passerà alla storia per fondare una sorta di retorica sulle e delle cose che non si devono fare se non si è capaci di farle.

Una di queste è la politica. Difficile arte che inizia con l’amore per il soggetto, per la persona e finisce con la capacità di essere umile. E come diceva Simone Weil, la prima umiltà, la prima delle virtù penultime, si connota della riservatezza e del rispetto umano di riconoscere ciò che non si sa fare e nel chiamare in soccorso coloro che sanno – qualsivoglia età o status sociale essi abbiano.

Ma è un passo troppo forte che “la boria dei dotti”, come diceva Franco Antonicelli, troppo spesso non sa compiere.