Attenzione cari lettori, siamo nei guai. Ma nei guai davvero. Perché se anche Il Sole 24 Ore, meglio noto nelle sale trading come il “Day After Journal”, si accorge che quanto ha scritto fino a non più tardi di un mese fa erano favole e che la situazione economica globale è tutt’altro che rose e fiori, con la ripresa garantita dal +5% del Pil Usa fabbricato a tavolino dai Fausto Tonna del Bea statunitense, allora vuol dire che c’è da preoccuparsi davvero. Addirittura ieri in prima pagina hanno sottolineato come ci fosse un piccolo problema sul rendimento del Bund, d’altronde dopo uno scostamento da 1000x dai minimi del 17 aprile se ne sarebbe accorto anche Mr. Magoo. E la mia non è ironia, né tantomeno malanimo verso persone con cui non ho mai avuto e mai avrò a che fare personalmente: se avete voglia, fatevi un giro sul sito del quotidiano di Confindustria e date un’occhiata a come si bevevano le balle che gli Stati Uniti propinavano al mondo rispetto allo stato di salute della loro economia (dei vari Rampini, poi, non parlo nemmeno più).
Volete sapere come sta davvero l’America? Primo, il GDPNow della Fed di Atlanta nella sua ultima tracciatura, compiuta, il 5 maggio era ancora allo 0,8% come previsione per il Pil del secondo trimestre di quest’anno, ma ho la quasi certezza che entro la fine di questa settimana vi offrirò un aggiornamento al ribasso. Il motivo è contenuto in due dati macro freschi freschi e nei due grafici a fondo pagina. Primo, dopo il calo nel dato Adp sull’occupazione di marzo – il peggiore da quattro anni e il terzo negativo di fila – ieri è giunta la lettura di aprile, la quale con le sue anemiche +169mila unità contro l’attesa di 200mila ci offre il quadro di un’economia reale Usa in ginocchio, viste anche le revisioni al ribasso già effettuate per febbraio e marzo. Siamo molto ma molto al di sotto delle stime più basse fatte dagli economisti!
La manifattura ha perso 10mila posti di lavoro ad aprile, mentre i produttori di beni oltre 1000: colpa dell’inverno freddo? Dello sciopero nei porti? O forse il prezzo del petrolio basso e il dollaro alto hanno qualcosa a che vedere con questo fallout sul dato occupazionale? Non a caso, in questi giorni le dinamiche stanno stranamente cambiando in direzione filo-Usa.
E ancora, il secondo dato. La produttività statunitense per ora lavorata nel settore non agricolo è scesa dell’1,9% nel primo trimestre, dopo il calo del 2,1% registrato nel quarto trimestre del 2014: è il primo caso di calo consecutivo su base trimestrale dal 1993. Ecco l’America di Obama, ecco l’America del 5% di Pil garantito dalle revisioni dei dati e dalle spese obbligatorie per Obamacare (oltre che da quelle del riscaldamento, parlando dell’ultimo trimestre). E attenzione, perché l’altro giorno sono stati resi noti i dati della bilancia commerciale americana: e cosa fanno temere? Una bella revisione al ribasso del già anemico Pil Usa. Il peggioramento del deficit è dovuto infatti al netto rialzo delle importazioni, aumentate del 7,7%, record mensile. Il dato complessivo sul deficit è sui massimi da sei anni, un quadro negativo sul quale poco ha potuto il recupero del petrolio, ai massimi del 2015.
Eh già, perché proprio in questi giorni stiamo assistendo a un rimbalzo dei prezzi del greggio dovuto a tre fattori: il calo della produzione Usa, il blocco dei flussi dal porto di Zueitina e la decisione dell’Arabia Saudita di rincarare le forniture negli Usa e in Europa. E perché a vostro modo di vedere Riyad ha preso questa decisione? Ve lo spiega il primo grafico a fondo pagina: l’Arabia Saudita sta bruciando riserve estere a un ritmo record pur di restare fedele ai suoi piani di spesa governativa, messi duramente in discussione proprio dal calo dei prezzi delle principale risorsa di introito del Regno. Le riserve sono al minimo da quasi due anni, scese di 36 miliardi di dollari, pari al 5%, nei soli ultimi due mesi.
E attenzione, perché il timing è perfetto: Re Salman ha infatti parlato della necessità di «razionalizzare le spese» subito dopo aver promesso un bonus per il personale militare impegnato nella campagna di bombardamento contro i ribelli Houthi in Yemen, guarda caso uno nodo strategico. E immediata è giunta la stroncatura di questo atteggiamento arrendevole di Riyad da parte di Steffen Herthog della London School of Economics, a detta del quale «questa è una reazione da crollo in ginocchio di fronte alle sfide politiche, distribuire più denaro mostra debolezza». Il problema è che finché la Fed terrà i tassi a zero, ovvero continuerà nel regime di Zirp, l’Arabia continuerà a bruciare riserve: come avevo paventato qualche tempo fa, è sempre più probabile che il crollo dei prezzi sia stato uno strategia indotta dal “Deep State” statunitense per regolare parecchi conti a livello geofinanziario e garantirsi la supremazia del settore nella prossima decade, rendendo l’Opec inoffesiva a livello geofinanziario.
E che qualcosa stia cambiando ce lo dice il secondo grafico, il quale ci mostra come la ratio long/short sul mercato futures petroliero abbia raggiunto 6,4, ovvero per ogni lotto di shorts ce ne sono sei di long. In parole povere, si scommette al rialzo e pesantemente, vista la totale inversione rispetto soltanto al precedente record del 18 marzo scorso. E se questo sta avvenendo è perché c’è la quasi certezza che qualcosa accadrà in modo tale da far salire il prezzo, perché stiamo vivendo – a livello di futures sul petrolio – in quello che in gergo è chiamato “contango market”, ovvero quando il contratto per il mese successivo costa meno di quello per la consegna in futuro, quindi ogni mese chi opera, quando il futures con il trading più attivo scade, deve vendere un contratto e comprarne un altro più caro per mantenere attiva la scommessa rialzista sul lungo termine.
Nonostante i futures sul petrolio siano saliti del 12% da inizio anno, chi ha comprato contratti a scadenza 31 dicembre sta ancora perdendo soldi: pensate che ne voglia perdere altri? E quando, come è successo il 4 maggio scorso, David Einhorn del Greenlight Capital, l’uomo che ha schiantato al ribasso Lehman Brothers, si sente in dovere di dire che l’Etf del settore shale Usa (il quale giova ricordare che viaggia con una ratio utile per azione a livello di oltre 28x sui multipli, roba da ricovero), Pioneer Natural Resources, «è drammaticamente sopravvalutato» facendolo schiantare, suona più di una campana, visto che la frase successiva è stata: «Molti comprano titoli delle aziende petrolifere shale come investimento in vista del rialzo del prezzo del petrolio, ma c’è un’alternativa migliore, comprare petrolio». Guarda caso, in due giorni quanti mutamenti.
Capite cosa sta accadendo in questo momento nel mondo? Ciò che vediamo è soltanto la cortina fumogena, limitarsi a guardare i rendimenti al rialzo delle obbligazioni sovrane o le Borse che ballano a ogni starnuto che arriva dalla Grecia è soltanto la punta dell’iceberg: la guerra è altra ed è in corso. Su valute e petrolio, le quali ovviamente sono in grado di muovere i destini di tutte le altre assets classes, visto che il mondo finanziario può permettersi tutto tranne che due cose: una crisi non gestibile che faccia saltare il circo Barnum delle decine di triliardi di contratti derivati in essere e la fine del dollaro come benchmark valutario globale. Tutto il resto – crisi, disoccupazione, disordini, carestie, debito pubblico – sono effetti e danni collaterali.
Lo sapete da dove sono partiti i tweet più violenti, quelli che aizzavano la folla durante i recenti disordini a Baltimora? Dagli stessi account Twitter che spargevano istigazioni all’odio poche settimane prima a Ferguson, anch’essa teatro dell’assassinio di un giovane di colore da parte della polizia. Professionisti del caos, utili idioti al soldo di chi invece ha progetti di più importanti e in grande: vi siete mai chiesti perché la Open Society di George Soros finanzi movimenti “antagonisti” in tutto il mondo? Di più, perché il sindaco di Baltimora, Stephanie Rawlings-Blake, ha ordinato ai poliziotti di non intervenire per bloccare gli scontri in città? Un esercente della zona interessata dai disordini ha detto di aver chiamato la polizia 50 volte chiedendo aiuto, ma senza ottenere alcuna risposta: lo stesso è accaduto ad altri e anche durante gli scontri a Ferguson. Non vi ricorda qualcosa accaduto di recente da queste parti?
E come mai l’autorevole Cnn, nel corso degli scontri di Baltimora, si è sentita in dovere di lasciar dire a uno dei suoi commentatori di fiducia, il professor Marc Lamont Hill del Morehouse College, che «la gente di colore sta morendo per le strade. Lo abbiamo fatto per anni, decadi, secoli. Penso che ci sarà resistenza all’oppressione»? E ancora, non è che la scelta del sindaco di Baltimora di non far intervenire la polizia e far degenerare i disordini in vandalismi e violenze abbia a che fare con il fatto che proprio Stephanie Rawlings-Blake abbia stretti legami con l’Amministrazione Obama e sia stata una dei tre sindaci che ha offerto maggior collaborazione al progetto “Task Force on 21st Century Policing”, il quale propone l’espansione della potere federale sull’ordine pubblico locale e garantisce maggiori fondi al amministrazione della città?
So cosa state pensando, Bottarelli è impazzito del tutto, cosa c’entrano Baltimora e le teorie complottiste con l’economia e la finanza? Beh, se pensate questo, non avete davvero capito nulla di come funzioni davvero la geofinanza. E di come si controllino non solo i mercati, ma i governi e i popoli.
P.S.: A confermare che siamo davvero nei guai e che di fatto quella di ieri è stata la giornata mondiale della scoperta dell’acqua calda, ci ha pensato Janet Yellen, capo della Fed, la quale parlando con Christine Lagarde, numero uno del Fmi, ha dichiarato che «le valutazioni dei titoli azionari sono generalmente piuttosto alte». Immediatamente il Dow Jones è crollato, andando in rosso da inizio anno. Alleluia, alleluia! Ma attenzione, perché questo non significa altro che ciò di cui vi parlavo la scorsa settimana: ovvero, lastricare la strada al Qe4 facendosi scudo di una correzione dei corsi indotta e dei dati macro (reali).
In compenso, la strategia Usa in atto e gli errori di fondo che lo hanno contraddistinto fin dalla nascita hanno portato a quanto ci mostra questo grafico, ovvero vanificare del tutto e uccidere nella culla il tanto strombazzato Qe di Mario Draghi. Complimentoni.