“Nel quadro programmatico del Def, il Pil è atteso crescere dello 0,7% nel 2015 e dell’1,3% nel 2016. Le probabilità di conseguire questi risultati appaiono, al momento, elevate”. Lo afferma il Rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, nel quale si aggiunge anche che in 20 anni le tasse locali sono raddoppiate dall’11,4% del 1995 al 21,9% del 2014, e che “ciò è stato frutto di scelte operate a livello di governo centrale, piuttosto che espressione dell’autonomia impositiva degli enti decentrati”. Ne abbiamo parlato con Oscar Giannino, giornalista ed economista.
La Corte dei conti conferma le previsioni del Def sul Pil. È una certezza almeno per il 2015?
Sulla base dei dati del primo quadrimestre, è ragionevole immaginare che le stime di crescita tra lo 0,6 e lo 0,7% nel 2015 siano raggiunte. Ci sono però due punti interrogativi. Il primo è che non possiamo sapere che cosa succederà in caso di un’uscita traumatica della Grecia dall’euro. Inoltre, le previsioni del governo sono sbagliate per quanto riguarda la valutazione dell’andamento dei tassi d’interesse.
In che senso?
Da metà marzo questa valutazione ha preso una linea completamente diversa da quella che con un eccesso di ottimismo incorporava le previsioni del governo, e cioè di una stabile riduzione tra 2015 e 2017 dei tassi di interesse sui Btp. A metà marzo si conferma che l’andamento dei tassi d’interesse dei titoli europei è molto più collegato al tasso di cambio euro/dollaro che non al Quantitative easing. Negli ultimi due mesi abbiamo incorporato 100 punti base di aumento dei rendimenti. A metà marzo il Bund tedesco aveva un rendimento pari a 0,05% e invece adesso è superiore all’1%.
Che cosa accadrebbe in caso di un’uscita non concordata da parte della Grecia?
Non sappiamo se il mercato valuterebbe l’andamento dell’euro sul dollaro di nuovo al ribasso, o se invece come penso io lo porterebbe a un rialzo ulteriore. In questo caso gli oneri del debito pubblico italiano aumenterebbero ancora di più. Questo elemento di incertezza doveva essere un motivo in più per intervenire sui conti pubblici già tre mesi fa per ridare munizioni aggiuntive alla ripresa italiana, e il governo ha fatto invece la scelta di fermare tutto fino alla legge di stabilità. Nel frattempo subiamo il no Ue alla reverse charge. Bisognerà quindi vedere che cosa decide la Corte costituzionale sui contratti della Pa. Ci sono parecchie incognite che hanno a che vedere con la finanza pubblica.
Per la Corte dei conti negli ultimi 20 anni le tasse locali sono notevolmente aumentate. I tagli di Renzi agli enti locali rischiano di farle crescere ancora di più?
La componente patrimoniale della tassazione immobiliare era inferiore a 10 miliardi di euro nel 2011, ed è passata a 25-26 miliardi nel 2014. Nel 2015 rischia di crescere ancora di più, perché non sappiamo ancora quanti Comuni al conguaglio Tasi di dicembre ritoccheranno ulteriormente l’aliquota. È ovvio che ci sarà un aumento, ma ancora contenuto.
A che cosa si riferisce allora la Corte dei conti?
La Corte dei conti si riferisce soprattutto al passaggio da Tasi a local tax che dovrebbe avvenire nel 2016. L’Anci concepisce la local tax come il passaggio attraverso il quale si procede a un recupero dei margini persi nei trasferimenti pubblici, e ciò comporterà un ulteriore aggravio della tassazione locale. La local tax è uscita dal dibattito pubblico, ma è al centro del confronto riservato tra Anci e governo.
Quali sono le cause di questo circolo vizioso?
Invece di perdere due anni sulla spending review, se fin dal 2012 avessimo adottato quello che proponeva Cottarelli saremmo in condizioni migliori. La spending review è come la Salerno-Reggio Calabria, ci sono molti annunci ma non arriva mai. Mi auguro quindi che nel passaggio da Tasi a local tax, il governo fissi delle asticelle molto severe sul fatto che non si può continuare a immaginare un recupero per via fiscale dei tagli dei trasferimenti.
Dove vanno reperiti i fondi?
Bisogna incardinare il passaggio alla local tax in una revisione profonda delle diecimila società locali partecipate. È da qui che vanno recuperati dei miliardi di spesa. Questa proposta è una modalità concreta per preservare la crescita dell’Italia. L’inasprimento delle tasse sugli immobili ha avuto infatti un effetto micidiale sulla propensione ai consumi che si aggiungeva al dato reale della diminuzione del reddito disponibile.
Perché?
In media in Italia esistono 1,4 unità immobiliari per famiglia. L’effetto povertà dovuto alla perdita di valore medio dell’unità immobiliare ha motivato gran parte di ciò che Renzi continua a chiamare il risparmio “da paura”, cioè figlio della paura degli italiani. Le famiglie italiane, che non sono stupide, hanno visto in questi anni che la pressione fiscale continua ad aumentare a livello locale, e quindi di fronte alla ripresa del reddito disponibile preferiscono risparmiare anziché consumare, perché sanno che la pressione fiscale aumenterà ancora.
(Pietro Vernizzi)