Pechino rivede al ribasso al 50,2% dal 51,2% precedentemente stimato il contributo dei consumi interni alla crescita del Pil nel 2014. Secondo quanto comunicato dall’Ufficio nazionale di statistica, investimenti ed export hanno invece contribuito rispettivamente per il 48,5% e l’1,3% contro il 54,2% e il -2,4% del 2013.



Nelle economie sviluppate i consumatori hanno fatto molto di più: 60% nell’Ue, 65% in Giappone, oltre il 70% negli Usa. Un dato su tutti: il deficit della bilancia commerciale statunitense a maggio ha toccato i massimi da sei anni e mezzo, quasi 51 miliardi e mezzo di dollari, un aumento del 43% rispetto al mese precedente. Lunga vita ai consumatori di ultima istanza allora.



Un momento però, la Cina dovrebbe offrire ancora molte opportunità, in particolare grazie all’ascesa di un forte ceto medio. Stando alle stime, ogni anno più di 20 milioni di famiglie cinesi ne entrano a far parte. E poi il motore della crescita dei consumi mondiali è rappresentato da Paesi emergenti come Brasile, Indonesia, India e Cina che nel 2030 contribuiranno per due terzi all’espansione dell’economia globale.

Il principale motivo della crescita economica prevista va ricercato nel vasto bacino di potenziali consumatori rappresentato dalla classe media dei Paesi emergenti, dove ogni giorno circa 2,5 miliardi di persone possono spendere tra i 10 e i 92,47 euro. Si tratta di una cifra pari a cinque volte gli acquirenti dei 34 membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), ossia un numero altissimo di possibili acquirenti. Nel 2030 i mercati emergenti rappresenteranno due terzi della progressione mondiale.



E quelli del “Bel Paese” cosa fanno? “Abbiamo un assoluto disperato bisogno di ripartire”, dice preoccupato il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, concludendo il convegno dei giovani imprenditori di Santa Margherita Ligure. Il leader degli industriali ha inoltre ricordato che il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, “ci ha sollecitato a investire di più, ma non possiamo investire se non c’è mercato”.

Già, non c’è mercato, ovvero i produttori ci sono, i consumatori no! Le associazioni dei commercianti, un po’ indispettiti da tal dire, dicono quello che vedono: se non lo vedono loro?Nell’insieme, i dati diffusi da Confcommercio restituiscono un quadro sconfortante con una ripresa dei consumi del +0,5% ad aprile “addirittura sovrastimata”. “Ripresa che favorirà solo un moderato recupero di quanto perso negli anni della recessione in termini di produzione di ricchezza, di reddito disponibile e di consumi delle famiglie”. 

In valori pro capite, tra il 2007 e il 2014 gli italiani in media hanno infatti “patito una riduzione in termini reali del 12,5% per il Pil, del 14,1% per il reddito disponibile e dell’11,3% per i consumi”. Di questo passo, romba Confcommercio, “la spesa delle famiglie tornerà ai livelli pre-crisi solo nel 2030. Il reddito disponibile tornerà a tale livello nel 2034”, il Pil pro capite nel 2027.

Tra il dire preoccupato dei produttori e le indispettite risposte dei commercianti i conti però non tornano. Se il mercato manca e per tornarci a fare quello che i consumatori facevano prima della crisi occorrerà attendere il 2030, chi surrogherà per i prossimi 15 anni la spesa per fare la crescita?Se tanto ci da poco, al mercato i produttori dovranno restare ancora soli, soletti!