L’incontro di Mario Draghi con i parlamentari europei, che si è svolto ieri pomeriggio nella sede del Parlamento Ue, ha avuto qualche motivo di interesse solo nel corso della discussione e invece è stato caratterizzato dalla devastante mediocrità del Presidente della Bce. Viviamo tempi terribili, con la Grecia sull’orlo del burrone, i conflitti diplomatico-militari che vanno dall’Ucraina agli stati baltici sino alle notizie sempre più insistenti sul grande cambiamento dei vettori della lunga stagnazione dell’economia mondiale. Mi riferisco al fatto che tutti gli osservatori danno per certa la caduta della crescita dei Paesi emergenti, con la Cina che ha sempre più grandi problemi e la sola India che continuerebbe a macinare modesti ma sicuri tassi di crescita. Agli Stati Uniti passerebbe il bastone di comando di una modesta ripresa sempre ai confini con la stagnazione. 



Sulle previsioni dell’economia europea Draghi ha ribadito ciò che sappiamo: un arresto della caduta, un lieve rimbalzo, previsioni sempre a una cifra e mai superiori al 2%. In questo scenario, nella sua relazione Draghi ha posto soprattutto l’accento sulla continuità del Qe senza variazioni della tabella di marcia annunciata a suo tempo, aggiungendo però una misurata preoccupazione sulla crescente volatilità dei mercati finanziari unita al continuo abbassamento del valore dei titoli di stato nei principali e meno deboli paesi europei. 



In questo contesto è prevedibile un’effervescenza borsistica delle azioni a fronte di debolezze e cali di tutte le altre forme di investimenti finanziari. Il tutto conchiuso nel significato politico-generale della sua esposizione che mira a non discostarsi dalle prediche sulla necessità di unificare sempre più le politiche economiche dei vari paesi, secondo i dettami dell’ordo-liberalismus imperante. Mi ha colpito il fatto che si è smorzata qualsiasi polemica verso l’austerity e non si sono fatte le solite demagogiche, anche se positive, dichiarazioni in favore della crescita che hanno spesso caratterizzato il nostro Presidente. 



Sulla Grecia si è limitato a dire – e questo non è un fatto di poco conto – che la Bce è pronta a sostenere le banche greche, come ha già fatto, per impedire ogni collasso e ogni panico. Nessun preciso riferimento è stato fatto ai negoziati in corso in queste ore. Lunare è stato il dibattito con i parlamentari. Moderato dall’italiano Gualtieri, che cercava di parlare un buon inglese mentre quasi tutti gli altri parlamentari parlavano nella loro lingua, ben tradotta in inglese. Bisogna dire che il livello della discussione non è stato esaltante. 

Il primo parlamentare, un tedesco, ha dato il via al piccolo cabotaggio seguente, con la richiesta di informazione sul rendimento dei titoli di stato tedeschi e la lamentela a difesa delle assicurazioni di quel Paese colpite dall’abbassamento di valore di codesti titoli. E tutto è proseguito su questa linea, con Draghi che rispondeva con una serie di tecnicismi che servivano a evitare ogni confronto su tematiche generali. Il solo momento di vero interesse è stato il confronto-scontro che si è avuto con il parlamentare greco che ha rivolto specifiche contestazioni nella politica generale della Bce addossando a essa di fatto il mancato controllo delle banche greche e di quelle straniere attive in Grecia. Ma la vera polemica risiedeva nel fatto che l’interlocutore greco stigmatizzava il diverso comportamento che la Bce aveva avuto un tempo nei confronti della Germania e dei suoi istituti di credito, strappando il velo del conformismo che regnava nell’aula. 

Draghi ha risposto da par suo confermando la fama che nei circoli eurocratici e tecnocratici aleggia intorno a lui: ha risposto da “Florentine”, dicendo e non dicendo e infine poi lanciando la pesante bordata “non si può scaricare le colpe di se stessi sugli altri ” che ha fatto imbufalire l’interlocutore greco. Mi chiedo cosa possano servire incontri di questo tipo se non a umiliare ulteriormente le istituzioni parlamentari europee nei confronti di quelle tecnocratiche senza legittimazione. 

I parlamentari hanno un tempo strettamente contingentato per porre le loro domande e lo squilibrio tecnico tra un esperto come Draghi o qualsivoglia funzionario e l’assemblea tutta dei parlamentari europei emerge con una drammaticità evidente che spiega bene il non equilibrio, non tanto di competenze, quanto di poteri esistenti tra le istituzioni, sottratte alla volontà popolare, e quelle invece cha da essa dovrebbero dipendere come appunto il Parlamento europeo. 

E un’altra cosa va aggiunta. Sarebbe opportuno tenere queste audizioni non nelle ore in cui le borse europee sono aperte, perché qualsivoglia parola dica il governatore della Bce turba i mercati e questa “cattiva governance di contesto” non deve essere più permessa. Non è sostenibile. Tanto più quando, come è successo ieri, rilevanti notizie più di quanto già possediamo non ne sono state date, altro non facendo che stimolare pettegolezzi e suggestioni speculative che sarebbe assai meglio evitare. 

Insomma, anche questa volta giunge confermata la tesi che, per seguire l’insegnamento del grande Thomas S. Eliot, la fine dell’Europa “non avverrà tramite un big bang, ma con uno sbadiglio”.