«Se guardiamo ai dati macroeconomici l’Italia è il Paese Ue più vulnerabile. Un’uscita della Grecia dall’euro creerebbe un terremoto anche nel nostro Paese, i cui effetti sarebbero il rallentamento della crescita, l’aumento dello spread e il peggioramento del bilanci». A osservarlo è il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Yanis Varoufakis, ministro greco dell’Economia, ha annunciato che all’Eurogruppo di giovedì non presenterà nessuna proposta. Atene è in un vicolo cieco e sono sempre più numerosi i greci in coda agli sportelli dei bancomat, in quanto è sempre più probabile che alle banche si applichino forme di controllo sul flusso dei capitali come avvenne nel marzo 2013 a Cipro.
Alla fine si riuscirà a trovare un accordo in extremis?
È estremamente difficile trovare un accordo. C’è un’altra soluzione possibile, e consiste nel fatto di far fallire la Grecia. In questo caso Atene rimarrebbe nell’euro ma sarebbe obbligata a pagare i creditori. C’è una contrarietà della Germania perché questa ipotesi implicherebbe di fatto la cosiddetta unione politica. Se il governo e le banche greche non pagano i creditori possono essere commissariati. Continuare a fare nuovi generosi salvataggi crea una situazione insostenibile.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro?
Un’uscita della Grecia dall’euro usata come escamotage per non pagare i debiti creerebbe effetti paradossali perché la Banca centrale greca appartiene alle banche centrali del sistema dell’euro. D’altra parte l’opinione pubblica della Germania auspica un’uscita della Grecia dall’euro, e in particolare secondo Alternative fur Deutschland i Paesi deboli non devono stare nell’euro perché “inquinano il pozzo”. Ma d’altra parte le banche tedesche vogliono che Atene rimanga nell’euro anche perché hanno nei suoi confronti 13 miliardi di crediti.
Se Atene uscisse dall’euro, quali sarebbero le conseguenze per l’Italia?
Cacciare la Grecia sarebbe una soluzione che per l’Italia creerebbe un terremoto. La lezione ad Atene verrebbe considerata come rivolta in genere ai Paesi che non vogliono accettare la disciplina dell’euro. Da quando c’è il governo Renzi l’Italia ha dato questa sensazione. Invece che seguire il piano di rientro, che con Monti ci aveva regalato una mostruosa depressione, ci siamo giocati i vantaggi che avevamo acquisito a caro prezzo.
A che cosa si riferisce?
Con bonus in busta paga e l’esonero contributivo per le assunzioni che sta generando un deficit nelle casse Inps, ci troviamo in una situazione di quasi inadempienza. Con l’uscita della Grecia questa situazione può solo peggiorare. Il rallentamento della crescita e l’aumento dello spread che inevitabilmente si genererebbero, toglierebbero al bilancio quello spazio che ha attualmente. Il rapporto deficit/Pil dal 2,6% supererebbe il 3% e saremmo di nuovo in procedura d’infrazione.
Francia, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi hanno un rapporto deficit/Pil più alto di quello italiano. Davvero ritiene che il nostro Paese si trovi in una situazione simile alla Grecia?
La vera questione è che nel 2014 l’Italia ha raggiunto un rapporto debito/Pil del 132% in quanto il nostro tasso di crescita è molto basso. La Francia ha un tasso di crescita maggiore che le consente di mantenere intatto il suo rapporto debito/Pil, comunque molto più basso del nostro. L’unico Paese oltre alla Grecia ad avere il rapporto debito/Pil al di sopra del 100% è l’Italia. Si noti che siamo anche il Paese con il tasso di crescita più basso, in quanto non abbiamo introdotto la flessibilità nel mercato del lavoro e abbiamo adottato una serie di regolamentazioni che bloccano la ripresa. L’Italia, pur essendo in avanzo primario, si trova in una trappola di debito infernale.
Se ciò che conta è la crescita, a che cosa serve tagliare il debito?
Il fatto che le banche siano oberate dal fatto di possedere il debito pubblico attraverso titoli di Stato blocca di fatto l’erogazione di credito ai privati. Quando inoltre il tasso d’inflazione è molto basso come adesso, noi paghiamo un onere ulteriore. Ci siamo indebitati con un tasso d’inflazione del 2/3% e adesso dobbiamo ripagare i debiti con un’inflazione allo 0,5%. Il nostro tasso d’interesse reale è dunque enormemente aumentato sui vecchi debiti. Ecco perché è importante ridurre il rapporto debito/Pil. Se guardiamo ai dati macroeconomici, l’Italia è il Paese Ue più vulnerabile.
(Pietro Vernizzi)