Scambio incrociato di accuse in vista dell’Eurogruppo di oggi sulla Grecia. Alexis Tsipras ha attaccato il Fondo Monetario Internazionale affermando che ha delle responsabilità “criminali” per la situazione di Atene. Mentre il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha dichiarato a sua volta che il premier greco sta mentendo sull’andamento della trattativa. Ieri il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, si è incontrato con Angel Gurria, segretario dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo) proprio per tentare una mediazione in extremis. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Professore, alla fine si riuscirà a trovare un accordo?
Un accordo è inevitabile, così come è un dato appurato che quello tra Grecia e Ue sia un gioco delle parti. Oltretutto entrambe le parti in passato hanno commesso degli errori. Bruxelles ha sbagliato in quanto ha imposto ad Atene delle politiche di austerità che non avevano senso, ma anche i governi greci che si sono succeduti nel tempo hanno avuto la loro parte di responsabilità. Quello che manca a entrambe è l’autocritica.
In che senso anche la Grecia ha la sua parte di responsabilità?
Le politiche di finanza pubblica di Atene negli anni passati sono state insostenibili. Con gli statali che vanno in pensione a 55 anni e con pensioni slegate dai contributi versati, i difetti del sistema di welfare greco sono molto simili a quelli dell’Italia. Non si capisce perché i tedeschi debbano andare in pensione a 67 anni, con regole di equivalenza molto rigide tra quanto versano e quanto ricevono, e in più si chieda loro di prestare soldi ad Atene per permettere ai dipendenti pubblici greci di andare in pensione a 55 anni.
Se entro il 30 giugno non si troverà un accordo la Grecia va in default. Lei che cosa si aspetta?
La Grecia può rimborsare i prestiti solo facendosi a sua volta prestare i soldi da qualcun altro, cioè dal mercato privato. Una soluzione praticabile però esiste. Quello che si dovrebbe utilizzare nei confronti della Grecia è una sorta di approccio della clessidra. Quest’ultima è fatta di due parti che comunicano tra di loro attraverso un canale molto sottile.
Che cosa rappresentano le due parti della clessidra?
Per restare alla metafora, una parte della clessidra è la finanza pubblica greca che deve in qualche modo dimostrare di riuscire a realizzare un avanzo primario, cioè un bilancio in attivo al netto degli interessi sul debito. Vanno coperte tutte le spese pubbliche con le entrate fiscali e in più va realizzato un surplus di bilancio. Questo surplus è la sabbiolina che riesce a passare da una parte all’altra della clessidra.
In che modo andrebbe utilizzata quella sabbiolina?
La sabbiolina, o meglio l’avanzo primario dovrebbe essere utilizzato per pagare gli interessi e per rimborsare qualche quota sia pure microscopica del debito. Gli organismi internazionali d’altra parte dovrebbero farsi carico di rinnovare il debito alla scadenza senza passare dalla parte alta della clessidra, che riguarda la gestione della spesa pubblica locale. Altrimenti la conseguenza sarà che a ogni scadenza Atene si ritroverà con nuove trance di debito che non è in grado di rimborsare.
Lei quindi suggerisce una sorta di divisione dei compiti?
Sì. Il compito del governo greco è gestire il suo bilancio in modo tale che non ci sia ulteriore recessione e che la finanza pubblica realizzi un avanzo primario interessante. Ma non si può certo chiedere ad Atene di restituire quote pesanti del suo debito. L’approccio della clessidra consentirebbe quindi una divisione del lavoro tra la gestione della finanza pubblica da parte di Atene e la gestione del debito da parte di Bruxelles. È come quando un’impresa privata è incapace di rimborsare il debito alla scadenza, ma il suo bilancio annuale è in attivo. Le norme fanno allora in modo che la gestione ordinaria possa continuare, tutelandola però dai gravami del debito pregresso che è gestito in modo separato. È lo stesso meccanismo che si tentò di adottare per Alitalia con la creazione della bad company.
(Pietro Vernizzi)