La notizia di ieri, al 23esimo congresso dell’Acri apertosi a Lucca, non ha riguardato la Cassa depositi e prestiti. Non è stata l’evidenza che le Fondazioni non possono opporsi all’infinito al Tesoro (azionista di maggioranza della Cassa e vigilante delle stesse Fondazioni). Il quale ministero non puo’ non dar seguito all’ordine personale del premier Matteo Renzi di cacciare discrezionalmente il presidente della Cassa, Franco Bassanini, e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini (dopo la designazione “discrezionale” del viceministro degli Esteri Lapo Pistelli ad alto dirigente dell’Eni, tutto è divenuto accettabilmente “discrezionale”: nel silenzio di chi si stracciava le vesti per la “democrazia a bassa intensità” degli esecutivi Monti e Letta sotto la presidenza Napolitano).



La notizia, nell’intervento d’apertura del presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, non e’ stata neppure che ora la posizione della 64 Fondazioni titolari del 18,4% della Cdp, diventa quella di veri investitori istituzionali: strettamente attenti ai risultati e ai dividendi. Con un atteggiamento di “collaborazione” con il Tesoro, ma inevitabilmente chiuso a nuove “mission” in stile ” nuova Iri” (a cominciare dal salvataggio dell’Ilva). Gli enti non possono mettere a rischio i loro patrimoni “civici” (“pubblici”, ma non “statali”) e i loro redditi da riversare in interventi sussidiari sui territori. La legalità democratica – quella fissata dalla legge Ciampi e dai patti scritti più di dieci anni fa (su richiesta del Tesoro) per far vita alla “nuova Cdp” – non può essere violata: neppure da Palazzo Chigi. Almeno per ora. Giulio Tremonti – per molto meno – ritenne utile riconoscere pubblicamente le sue “bestialità” in materia .



La notizia – ieri – è stata in una cifra che Guzzetti ha lasciato scivolare senza aggettivi, senza polemiche. Sono “67 miliardi” secondo uno studio condotto dall’Acri, le risorse del bilanciol pubblico che sarebbero spendibili (devono essere spese) “per aiutare i milioni di italiani che stanno diventando poveri, non quelli che poveri non lo sono più”, ha detto sferzante Guzzetti. Che ha rinnovato la sfida al governo: perchè lo Stato tiene di fatto confiscate queste risorse (e aumenta la tassazione sui redditi delle Fondazioni) e disconosce l’investimento politico-sociale di lungo periodo lanciato nel 1990 dalla legge Amato-Carlik e “costituzionalizzato” dall’Alta Corte nel 2003? Perché nega la pura evidenza contabile di 18,4 miliardi di erogazioni dal 2000 in poi (più di 8 miliardi dopo il crack del 2008 e seguenti)? Perché impedisce alle Fondazioni – che hanno ricapitalizzato le grandi banche italiane, preservandole dai fallimenti – di dedicarsi al welfare sussidiario di comunità, moltiplicando a leva interventi e nuovi impieghi di patrimonio?



La notizia – ieri – è che il presidente dell’Anci, il sindaco (Pd) di Torino Piero Fassino, ha chiesto all’Acri un patto subito per costruire una rete di emergenza orizzontale per il sistema-Italia (lavoro, servizi, assistenza) che la bancarotta del welfare pubblico non è e non sarà più in grado di offrire.

La notizia è che il presidente dell’Acri – che a Lucca ha ventilato il suo addio fra un anno – ha detto che il patto Acri-Anci sul nuovo “welfare di comunità” sarà all’ordine del giorno del prossimo consiglio Acri.