«Quello della Grecia è un caso unico nella storia, perché non stiamo parlando di un semplice divorzio monetario, ma di un Paese che è entrato a fare parte dell’Eurozona e che ora potrebbe uscirne. Le conseguenze potrebbero essere molto gravi, più sul piano politico che economico». A rimarcarlo è Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Il 22 giugno è prevista la riunione dei capi di Stato e di governo. Il premier greco Tsipras ha commentato: “Ci sarà una soluzione nel quadro delle regole Ue e della democrazia, che permetterà alla Grecia di tornare alla crescita. Noi puntavamo a fare in modo che le negoziazioni finali avvenissero al più alto livello politico in Europa, e ora stiamo lavorando per il successo di questo summit”.
Professor Campiglio, come valuta gli ultimi sviluppi della crisi greca?
L’ipotesi è una soluzione tipo Cipro, con provvedimenti temporanei di ragionevole controllo dei movimenti di capitali per evitare che si verifichino fenomeni di panico come le code agli sportelli dei bancomat. È importante però osservare che la seconda crisi greca è molto diversa dalla prima.
In che senso?
Nella prima era in primo piano la dinamica dei mercati, nel senso che i creditori erano in gran parte privati come banche e fondi di investimento. Oggi la situazione è completamente diversa, in quanto i creditori sono il Fmi e altre istituzioni internazionali. Nel 2010 il pagamento richiesto dai creditori aveva decisamente la natura di un contratto privato, con tutte le implicazioni che ciò comportava. Cinque anni dopo abbiamo soprattutto istituzioni, il rapporto con le quali non è di natura privatistica ma soprattutto politica.
Con quali conseguenze?
Ciò fa sì che la crisi greca non sia in alcun modo paragonabile né con quella argentina, né con quella di Cipro. Siamo di fronte a una situazione del tutto nuova. Lo stesso Draghi ha dichiarato che “ci stiamo muovendo in una terra incognita”, e ciò è vero anche sul piano storico.
Quello greco sarebbe il primo divorzio monetario?
Non è la prima volta che avvengono divorzi monetari, come quello tra Repubblica Ceca e Slovacchia. Quello della Grecia però è un caso unico, perché non stiamo parlando di un semplice divorzio monetario, ma del caso di un Paese che è entrato a fare parte di Eurozona e Ue e che ora potrebbe uscirne. In questo caso le conseguenze potrebbero essere molto gravi, più sul piano politico che economico.
La tensione nei negoziati rispecchia la situazione interna della Grecia?
La Grecia è un Paese in cui esiste ormai una vera e propria crisi umanitaria. I tassi di mortalità dei bambini fino a un anno sono aumentati, così come i livelli di denutrizione. Le persone non hanno le risorse per acquistare non soltanto il cibo ma anche le stesse medicine. C’è una fascia della popolazione greca, quella più svantaggiata, che sta soffrendo di più.
Dal momento che la posta in gioco è così alta, secondo lei lunedì si troverà un accordo?
Arrivati a questo stadio ci vorrebbe un aruspice per saperlo, ma io penso che una qualche forma di accordo si troverà. Non parliamo di centinaia o migliaia di creditori, bensì di un gruppo ristretto di 30-50 leader che devono prendere una decisione in una sala riunioni.
Non tutti i leader europei però contano allo stesso modo…
Tra loro c’è la Merkel, la quale propende molto di più per un accordo che non per una rottura. In questo è sostenuta da Draghi, che si sta muovendo per una soluzione politica “mascherata” sul piano tecnico. Il presidente della Bce è un artefice primario del salvataggio greco.
Quali modalità può assumere questo salvataggio?
Tutto ciò non può avvenire con una capitolazione di una delle due parti, bensì con un accordo che per sua natura è politico. Un ripudio del debito da parte della Grecia non è un’ipotesi realizzabile. L’unica strada praticabile è porre condizioni che genuinamente consentano alla Grecia, che in questo momento è in ginocchio, di rialzarsi e riprendere un cammino di sviluppo. Servono condizioni favorevoli rispetto al futuro, ma anche e soprattutto condizioni economiche per la crescita. Certamente non si può riprendere a camminare sulla strada dello sviluppo mentre la mortalità infantile è in aumento e la gente non riesce nemmeno a mangiare.
(Pietro Vernizzi)