“Nuovo Cinema Paradiso”, grande film di Giuseppe Tornatore, Oscar al miglior film straniero nel 1988. No, non sono fuori tema, e la questione non è il cinema, ma l’Europa. Ecco perché non sono fuori tema: l’Europa è il Nuovo Cinema Inferno. Parola di Bettino Craxi: “Si presenta l’Europa come una sorta di Paradiso terrestre. Ma l’Europa per noi sarà nella migliore delle ipotesi un limbo e nella peggiore delle ipotesi un inferno”. Quattro anni dopo il gran film di Tornatore, ecco arrivare Maastricht, 1992, nel pieno di un golpe mediatico-giudiziario ai danni dell’unica classe dirigente italiana in grado di chiedere la modifica di quel trattato. Sarà un caso? Lo escluderei, il caso è sempre il dio degli imbecilli.
Direi che la seconda ipotesi elencata da Craxi sia il nostro presente: l’Europa è un inferno. Un colossale fallimento della politica che, perdendo se stessa, si attacca alla contabilità e alle procedure, fornendo così l’ennesima dimostrazione della forza devastante della profezia che si auto-avvera. Craxi diceva il vero: tutto inscritto nel DNA di questa Europa. Oggi traiamo solo le conseguenze di questa gigantesca prova di restaurazione di un ordine sovranazionale all’indomani di una sanguinosa guerra e con la Germania a far di conto per salvarsi la coscienza. Le chiacchiere stanno a zero, siamo arrivati al capolinea, inscritto, ripeto, nel corpo stesso di questo progetto neo-totalitario.
Verifichiamo questa lettura della realtà attraverso i fatti della Grecia. Atene paga lo scotto di una classe dirigente che l’ha condotta allo sfascio, certamente, ma nella cornice di un progetto demenziale e costruttivistico, l’eurocrazia divenuta gestione tecnico-amministrativa a prescindere, di cui oggi si vedono i nefasti risultati. Quando Tsipras attacca il Fmi oggi non fa altro che dire all’Europa intera, indirettamente: il re è nudo. Per tutti, non solo per la Grecia, ecco il punto.
Perché l’accordo non si trova sulla vicenda greca? Ma è ovvio: perché non lo si può trovare, stando le cose come stanno. Con un’Europa che annaspa, non ha visione, pasce le sue commissioni sul cadavere di un’economia ormai sempre più regionale che non riesce a stare in piedi neanche col traino del rapporto commerciale con gli Usa che, anzi, al contrario, hanno fomentato le nefaste sanzioni alla Russia, ormai universalmente note come la nostra iattura nazionale, non c’è niente da fare. Il tavolo è virtuale. Tsipras lo sa e Varoufakis, idem.
Quest’ultimo afferma: non c’è nessun altro piano. Certo, perché qualunque piano non andrà mai bene e la strategia della rassicurazione non ha retto la variabile, sempre con la coda lunga, del tempo. Tutto qua. Chi dice: la situazione è complessa, non coglie che la complessità deve essere ridotta, e che, adeguatamente ridotta, essa conduce a un solo esito: la Grecia fuori dall’euro.
Non è né uno scandalo – perché mai? -, né lesa maestà, perché l’euro non deve essere la vacca sacra e infatti i mercati stanno già aggiustando il tiro, si badi, ancor prima delle dichiarazioni di Draghi, sempre più vicine a un genere letterario che a un processo strategico di riassestamento. Questo è un altro test non banale: i mercati se ne fregano, alla fine. Perché solo in questo angolo di mondo pensiamo che tutto sia attaccato all’euro, che non è neanche una moneta, e tutto il resto è out; in realtà, altrove, i mercati sono competitivi e il Far East viaggia che è una meraviglia. Solo noi annaspiamo e condiamo questa crisi finanziaria con altre pietanze avvelenate come la distruzione del matrimonio, l’imposizione dell’ideologia del gender e il relativismo assoluto come nuovo mandato politico della distruzione. Così, non c’è partita e l’Europa è semplicemente morta.
La Grecia lo sa e gioca al tanto peggio, tanto meglio, seguendo la variabile della teoria dei giochi, secondo la quale quando il rischio si alza all’eccesso, avanti tutta, tanto non c’è più niente da perdere e coinvolgere tutti gli altri è sempre un vantaggio per chi sta peggio.
Last but not least, l’Europa marca stretto la Grecia sulle pensioni e sull’Iva, cioè strangola il mercato e la già devastata domanda interna, chiedendo poi al morto di respirare e mettersi a ballare il tango a ritmi vorticosi. Ma qui del tango rimane solo il casché. Con la dama a boccheggiare, non per amore. Si tratta di materia che l’eurocrazia allo stato terminale non dovrebbe neanche toccare, invece ci va giù duro, riducendo la sovranità nazionale a racconti di reduci noiosi. Tutto eterodiretto, come nei più compiuti schemi neototalitari. È il totalitarismo morbido descritto da Augusto Del Noce.
C’è un trait d’union fra l’Argentina e la Grecia: il secco rifiuto della morsa del Fmi. Non ci sono angeli in Paradiso, sia chiaro, Tsipras non somiglia a un cherubino, e Varoufakis non è uno staretz illuminato, come la Kirchner non è la Thatcher, ma di sicuro dalle parti di Bruxelles il meglio c’ha la rogna, come si dice a Roma, che di rogna e rogne se ne intende, basta seguire la cronaca, che ci documenta ciò ogni giorno.
No, l’Europa non è il paradiso, men che meno quello perduto, essendo il prodotto più perfetto del perfettismo di cui parlava, assai male, Rosmini e del costruttivismo che Hayek riteneva essere la peste della politica e della cultura. Questo è e non altro. Ogni altra considerazione non potrà che essere di natura squisitamente “tecnica”, sui costi, le misure e le naturalmente sbandierate “riforme” – da noi anche questo è diventato un genere pop-letterario, assai coltivato a Palazzo Chigi -, ma all’inferno non si seguono dettami tecnici, lì è tutto chiaro e destinato al nulla, e il diavolo, si sa, veste Prada.