La Grecia, si sa, è il Paese della maratona. Non dovrebbe perciò stupire l’interminabile battaglia ancora in corso tra Alexis Tsipras e l’Eurogruppo. Ma non è facile non restare stupiti di fronte al muro contro muro infinito: cinque mesi, dal febbraio 2015 a oggi, di confronto sull’età pensionabile dei greci su cui dibattono 19 capi di Stato, i 19 ministri delle finanze dell’Eurozona, la Bce e la Commissione. Ma anche gli Stati Uniti che, come si è scoperto grazie a Wikileaks, intercettano tutte le telefonate tra i negoziatori e poi chiamano subito dopo per dire la loro. Infine, tanto per non tradire le tradizioni, non è mancato un richiamo a Penelope: un accordo, annunciato con una certa enfasi lunedì sera poi disfatto nottetempo per l’intransigenza del Fondo monetario e/o un soprassalto d’orgoglio dei negoziatori di Atene.



Insomma, non è stato risparmiato nulla o quasi ai mercati, sottoposti a uno stress che, pare, è sfociato in noia. Il (possibile) finale della trattativa non ha così provocato il temuto tracollo di bond e azioni dell’eurozona. Ma un soporifero ottimismo, peraltro provvisorio. Sembra impossibile, del resto, che la costruzione europea possa andare in crisi per ritocchi, nemmeno sostanziali, alla disciplina della previdenza di un Paese che pesa solo l’1,8% del Pil europeo, con un forte interscambio complessivo con l’Ue di 50 miliardi tra importazioni ed export, molto meno della provincia di Vicenza.



Ma così è. E bisogna prenderne atto, comunque si concluda l’ennesima notte dei lunghi coltelli da cui scaturiscono tanti cattivi pensieri sulla costruzione europea. L’Odissea di queste settimane ha confermato la fragilità dell’euro, tanto più evidente quanto si moltiplicano le dichiarazioni “sull’indissolubilità” del patto monetario. La prima, forte sensazione è che la moneta unica sia un accordo tra governi, non tra Stati. Perciò l’euro è una valuta in balia di 19 governi sempre più instabili. Oltre al dramma greco, in agenda si avvertono sempre più forti i toni alla Chavez di Podemos in Spagna, la Gran Bretagna che vuole uscire dall’Unione europea, il nazionalismo rampante nell’est del continente, il lepenismo, la disaffezione nell’opinione pubblica verso un’Europa che fa l’impossibile per non farsi amare.



Secondo, comunque andrà a finire, si tratterà di un accordo “sporco” che finirà con il privilegiare misure che deprimeranno la crescita (vedi inasprimenti fiscali) piuttosto che l’aspetto espansivo. Con il risultato che sulla Grecia esausta (anche per gli errori di questi mesi) arriverà una nuova mazzata che provocherà un calo del Pil di almeno il 3% se non peggio. Anche se , alla fine, Tsipras dovesse chinare il capo ai “consigli” del Fmi che chiede di puntare di più sui tagli di spesa che non sulle “tasse ai ricchi”, peraltro di esito assai incerto in un Paese dall’amministrazione pubblica debole e dall’evasione forte.

Non è necessario essere Cassandra per capire che l’accordo qualunque sia sarà un’intesa debole, cui mancherà l’arma essenziale: i quattrini per attivare un circolo virtuoso di investimenti. Ammesso che esista una volontà, sia dell’Europa dei creditori che della Grecia, di muoversi per davvero in questa direzione.

Non è il caso di infierire su Syriza e sul suo leader che, in Parlamento, deve fare i conti con un alleato finanziato dagli armatori e dagli ammiragli, che non vedono di buon occhio operazioni che li penalizzino. Semmai è il caso di riflettere sul fiasco di una formula politica che ha vinto le elezioni sull’onda di un programma assai efficace e giustificato sul piano emotivo, visto il fallimento dell’austerità. Ma si è rivelato incapace di combinare una strategia realistica con il necessario consenso all’interno. Speriamo che il copione non si ripeta dalle nostre parti. 

Leggi anche

SPY FINANZA/ Quei legami della Grecia con Russia e Cina di cui nessuno parla20 ANNI DI EURO/ Il fallimento europeo che può darci ancora anni di crisiSPY FINANZA/ I conti che costringono Uk e Grecia alla "imprudenza" sul Covid